Massimiliano Kolbe: un sacrificio estremo per amore

In un periodo dove ci si uccide per qualunque sciocchezza, dove le persone sono sempre più aggressive e egoiste, è difficile immaginare qualcuno disposto a morire per il bene di qualcun altro. Certo, a volte si dice che si morirebbe per il proprio figlio, per il proprio compagno o per una persona a cui si vuole bene, ma tra il dire e il fare c’è un abisso.
Riuscite ad immaginare qualcuno che si sacrificherebbe per un perfetto sconosciuto? Sinceramente a me risulta molto difficile. Eppure di questi eroi la storia ne è piena, solo che molti di loro sono stati dimenticati. Uno fu Padre Kolbe che nel campo di concentramento di Auschwitz prese spontaneamente il posto di un condannato a morte.
Maksymilian Kolbe, nato in realtà con il nome di Raimond e conosciuto come Massimiliano Maria Kolbe, era un frate francescano polacco che ebbe la sfortuna di vivere nel periodo della seconda guerra mondiale. Nato nel 1894, Kolbe frequentò le scuole medie presso i francescani a Leopoli e ne rimase talmente colpito da decise di seguire il percorso monastico. Nel 1914 prese i voti perpetui e iniziò a viaggiare tra la Polonia e l’Italia, dove rimase diversi anni per completare la sua formazione. Durante la permanenza in Italia, Kolbe si legò spiritualmente al culto di Maria, che fu sempre al centro di tutto il suo percorso pastorale.
Nel 1927 non lontano da Varsavia fondò un convento chiamato Niepokalanów, che tradotto significa “Proprietà dell’Immacolata”, e qui incentrò la sua missione aiutando profughi, senzatetto e malati di tubercolosi. Nel 1938 ottenne la licenza di radioamatore e divenne famoso con il nickname di “SP 3 RN”: fu talmente apprezzato che oggi è il santo patrono dei radioamatori italiani.
Quando venne invasa la Polonia nel convento di Niepokalanow vivevano circa 1.000 persone tra frati, novizi e seminaristi. Kolbe offrì riparo a numerosi rifugiati polacchi, compresi molti ebrei e fu proprio quella presa di posizione che portò i tedeschi a considerarlo un vero e proprio nemico.
Il 19 settembre 1939 Padre Kolbe venne arrestato dalle truppe tedesche insieme ad altri 37 confratelli e rimase nelle celle naziste per un anno. Tornò a Niepokalanów, ma lo trovò ridotto a dei ruderi dopo che venne minato dai tedeschi, così decise di utilizzare le stanze ancora utilizzabili come rifugio e ospedale per migliaia di profughi in fuga. Il 17 febbraio 1941 Kolbe fu nuovamente arrestato dalla Gestapo e condotto nel campo di concentramento di Auschwitz.
Come ogni sfortunato venne marchiato con un numero (a lui toccò il 16670) e impiegato nel campo nel trasporto dei cadaveri fino alle fosse comuni. Nel mese di luglio venne trasferito al Blocco 14, dove venne sfruttato nei campi, ma poco tempo dopo un prigioniero, durante la mietitura, riuscì a scappare. Le SS fecero subito una rappresaglia e, per impedire che qualcuno dei prigionieri tentasse la stessa cosa, estrassero a sorte 10 persone del blocco per punirle al posto del fuggiasco; vennero condannate al cosiddetto “bunker della fame”, dove erano destinati a rimanere fino a morire di stenti.
Tra i 10 condannati venne chiamato Franciszek Gajowniczek, che scoppiò in lacrime dicendo di avere una famiglia a casa che lo aspettava; fu allora che Kolbe uscì dalle fila e chiese di prendere il posto di Gajowniczek. I nazisti gli chiesero se sapesse cosa stava facendo e lui annuì e ribadì la sua proposta. Lo scambio venne concesso e i 10 selezionati vennero rinchiusi nel Blocco 13.
Dopo due settimane di agonia senza acqua né cibo 6 dei condannati erano morti, ma Kolbe e altri 3 erano ancora vivi e pregavano cantando inni a Maria. I tedeschi cercarono di provocare il frate in tutti i modi, schernendolo e offrendogli scelte insensate, come chiedere la vita salva condannando altri 10 prigionieri, ma la calma e la fermezza nella sua scelta impressionarono le SS a tal punto che si decise di porre fine a quell’agonia: il 14 agosto 1941 Kolbe e i suoi compagni sopravvissuti vennero uccisi con un’iniezione di acido fenico. Quel gesto fu considerato dai tedeschi un atto di compassione.
Il ricordo di Padre Kolbe non è mai svanito, né tra i prigionieri che uscirono vivi da Auschwitz, né tra i cattolici: Maksymilian Kolbe è stato beatificato nel 1971 da papa Paolo VI e proclamato santo nel 1982 da papa Giovanni Paolo II.
Franciszek Gajowniczek anni dopo ricordò in un’intervista gli ultimi istanti di vita di Kolbe e disse che quando il capoblocco dell’infermeria si avvicinò per fargli l’iniezione mortale nel braccio, Padre Kolbe gli disse:

«Lei non ha capito nulla della vita … L’odio non serve a niente… Solo l’amore crea!».

FONTE: Misteri dal Mondo – Credere Per Vedere