Sharkcano: il mistero degli squali del vulcano sommerso

Per quanto l’evoluzione delle specie sia un argomento ancora poco chiaro e pieno di interrogativi, una delle maggiori correnti di pensiero afferma che affinché una specie possa evolversi deve per forza di cose adattarsi a più ambienti possibili, in modo che le possibilità di riproduzione siano sempre elevate. Ciò significa che le specie che si adattano maggiormente anche ad ambienti estremi hanno una maggior probabilità di sopravvivere in futuro.
Da non molti anni sono state scoperte specie viventi soprannominate “estremofile”, proprio perché sopravvivono a condizioni ambientali che fino a poco tempo fa si credeva impossibili per la vita; tuttavia praticamente tutte le specie trovate erano batteri, creature poco complesse o animali non più lunghi di una decina di centimetri. Oggi invece sappiamo che anche specie di grandi dimensioni possono adattarsi a condizioni di vita impensabili.
L’esempio più eclatante è stato scoperto nel 2015 per caso nell’Oceano Pacifico al largo delle Isole Solomone.
Un gruppo di ricerca guidato da Brennan Phillips, che lavora per il National Geographic, era giunto per studiare il comportamento del vulcano sommerso Kavachi e mapparne il profilo; la spedizione infatti voleva capire in che modo era cambiato dall’ultima eruzione e se ci fossero dei parametri per capire la sua evoluzione futura.
Kavachi è considerato uno dei vulcani sottomarini più attivi del mondo, con eruzioni molto frequenti e costante scarico di ceneri; tuttavia le sue eruzioni imprevedibili e il pericolo di tsunami e terremoti nelle isole è pressoché continuo. Conosciuto anche come “Vangunu” dagli indigeni dell’isola di New Georgia, secondo loro è il mezzo con cui si esprime il dio del mare e le sue esplosioni sarebbero frutto della rabbia che egli accumula per il comportamento scellerato degli esseri umani.
In realtà segretamente il team del National Geographic sperava di filmare nelle profondità degli organismi estremofili, ma si aspettava al più crostacei e coralli, al massimo gamberetti e qualche pesciolino di pochi centimetri. Ciò che hanno trovato va molto al di là delle più fervide fantasie: razze e squali di oltre 3 m di lunghezza che nuotavano in un’acqua talmente acida da corrodere perfino il metallo!
Sin dalla prima ora di riprese nell’acqua torbida del fondale a circa 50 m di profondità gli studiosi si sono imbattuti in due specie di squali che sembravano a pieno agio tra le fumarole di acido solforico e nitrico, mentre i loro strumenti iniziavano a dare già i primi problemi per l’ambiente aggressivo che stava iniziando a corroderli.
Le telecamere di profondità hanno ripreso diversi esemplari di razze, squali martello e squali seta che nuotavano tranquillamente intorno e all’interno del cratere. Tra gli studiosi è sorto il buffo appellativo di “Sharkcano” e ad oggi il vulcano Kavachi continua a sorprendere con nuovi ritrovamenti di specie che non si pensava potessero resistere a simili condizioni.
Le scoperte del team hanno rivoluzionato un po’ le ipotesi che fino al 2015 andavano per la maggiore riguardo gli organismi estremofili e hanno portato a nuove interessanti rompicapo: oltre alla domanda ovvia su come possano questi enormi pesci resistere a composti tossici e altamente corrosivi, ci si chiede il perché giungano in un cratere attivo per nuotarci e soprattutto come riescano a percepire le frequenti eruzioni per tempo e mettersi in salvo.

FONTE: Misteri dal Mondo – Credere Per Vedere