mujinaIl Mujina, lo spirito senza volto

Il Giappone è una terra di leggende antichissime che negli ultimi secoli hanno influenzato un po’ tutto il mondo, al punto che le storie giapponesi sono state adattate ai vari paesi e divenute folclore locale.
Molte leggende metropolitane giapponesi vogliono che tra le vie di grandi città come Tokyo si aggirino molti spiriti inquieti o malvagi che si presentino a sventurati solitari per incutere in loro terrore o far loro del male. Uno di questi spiriti si chiama “mujina” ed ha la particolarità di non aver un volto.
Il termine “mujina” è il nome giapponese del tasso, ma a seconda delle regioni può riferirsi anche al tanuki, una creatura mitologica metà cane e metà procione che ha la capacità di mutare. Proprio la caratteristica del tanuki ha dato origine alla creatura del folclore giapponese chiamata mujina, ovvero uno spirito senza volto quasi sempre femminile che si aggira nei luoghi abitati e tra la gente.
La cultura giapponese è piena di racconti sul mujina, che oggi è una delle leggende metropolitane più famose. I primi documenti tradotti che riguardano questo spirito inquieto risalgono al 1904, quando Lafcadio Hearn scrisse il libro Kwaidan (Weird Tales), una raccolta di leggende con lo scopo di portare in Occidente un po’ delle tradizioni e del folclore del sol levante.
I mujina sono considerati spiriti innocui e burloni che amano terrorizzare gli umani: si mostrano inizialmente con tratti somatici normali, spesso con l’aspetto di una persona familiare alla vittima, per poi rivelarsi con il loro vero aspetto, un volto liscio e privo di qualsiasi organo sensoriale.
Secondo la leggenda riportata da Lafcadio Hearn a Tokyo, nel quartiere di Asakasa, c’era una strada poco illuminata e desolata dove ai viandanti solitamente capitava di udire il pianto disperato di una donna. Nessuno capiva da dove provenisse tale lamento, ma tutti erano certi che fosse lo spirito di una giovane donna che si era suicidata per amore.
Lungo la via c’è un pendio chiamato Kii-no-kuni-zaka (che significa Pendio della Provincia di Kii) e su un lato di questo pendio si può vedere un antico fossato, profondo e molto largo: prima dell’epoca dei lampioni e degli jinrikisha questa zona era completamente deserta e i passanti ritardatari erano disposti a percorrere chilometri pur di non salire sul Kii-no-kuni-zaka da soli dopo il tramonto. Tutti a Tokyo sapevano che un mujina aveva l’abitudine di aggirarsi da quelle parti.
Un giorno del 1972 un vecchio mercante del quartiere Kyobashi ebbe un problema con il suo carretto che in una buca perse una ruota e ruppe l’asse. Il mercante impiegò tutto il pomeriggio per aggiustarlo e tardò più del solito.
Si stava affrettando per il Kii-no-kuni-zaka quando scorse una ragazza accovacciata presso il fossato e la sentì piangere disperatamente. Temendo che avesse intenzione di suicidarsi, si fermò per offrirle aiuto o di capire la causa di quel suo pianto straziante. Sembrava una ragazza minuta e graziosa, vestita con gusto e con un’acconciatura curata come portavano le donne di buona famiglia.
Il vecchio si avvicinò alla ragazza e le chiese cosa avesse, ma ella continuò a piangere, nascondendosi il volto con una delle lunghe maniche del suo vestito. L’uomo insistette dicendole che quello non era un luogo adatto per una ragazza, soprattutto di sera. Lentamente lei si alzò, ma continuò a dargli le spalle e a gemere e singhiozzare con le mani al volto. L’uomo allora le posò leggermente una mano sulla spalla per darle conforto.
A quel punto la ragazza si voltò e tolse le mani dal suo volto: l’uomo vide che non aveva occhi, né naso, né bocca e in preda al terrore gridò e corse via, lasciando il suo carretto a bordo strada. Per quanto gli fu possibile corse su per il Kii-no-kuni-zaka fino a quando, stremato, si dovette fermare a raccogliere le forze. Era quasi calata la notte e sapeva bene che doveva tornare indietro a riprendere il suo carretto, ma non osava guardarsi alle spalle per paura che quel mujina lo avesse seguito.
Solo dopo diversi minuti prese la decisione di tornare sui suoi passi: il carretto era tutto ciò che aveva per guadagnarsi da vivere e non poteva lasciarlo incustodito. Con molta prudenza tornò a prenderlo, ma il buio era ormai sceso sulla strada e in lontananza vedeva solo una lanterna, tanto lontana che sembrava la scintilla di una lucciola. Alla fine scoprì che quelal luce veniva proprio da dove aveva lasciato il suo carretto e si affrettò per raggiungerla, scoprendo con sollievo che il suo carro era ancora lì e che la lanterna era di un venditore ambulante di soba che aveva deciso di accamparsi a lato della strada.
Quel venditore e la sua luce erano per lui un sollievo, soprattutto al pensiero che avrebbe dovuto risalire nuovamente la strada nel buio più completo. Il vecchio allora cercò di intrattenersi con il venditore per trovare un po’ di coraggio.
«Cosa hai vecchio? Che ti succede? Qualcuno vuol farti del male?» chiese il mercante di soba.
«No, nessuno mi fa del male, ma ho visto una donna vicino al fossato e lei mi ha fatto vedere… una cosa spaventosa!»
«Ti ha fatto vedere una cosa come questa?» gridò il venditore toccandosi la faccia, che subito diventò liscia come un uovo… E di colpo la luce si spense…
Il vecchio mercante venne trovato morto di infarto la mattina dopo, proprio davanti al suo carretto.
Questa è una delle versioni più raccontate in Giappone sul mujina, ma anche alle Hawaii esiste la leggenda di questo spirito senza volto, che potrebbe almeno in parte spiegare una valanga di avvistamenti nel 1959.
Nel Waialae Drive-In di Honolulu nel marzo di quell’anno una ragazza vide un’entità senza volto nel bagno, un evento così traumatizzante che svenne e fu ricoverata in forte stato di agitazione . Un’altra ragazza poco tempo dopo, sempre nello stesso locale, vide nello specchio donna senza volto mentre si rinfrescava il trucco. Si voltò di scatto, ma non c’era nulla e lei terrorizzata scappò in strada raccontando a tutti cosa le era successo. Altre storie di spiriti senza volto emersero in centri commerciali, strade rurali e college in tutte le Hawaii negli anni successivi.
E per finire un curiosità: anche in Italia abbiamo un caso che sembra richiamare il mujina.
In provincia di Varese, in località Torba, si trova un complesso monastico immerso nel verde, molto interessante e che vale la pena visitare se si passa da quelle parti. La cosa interessante è la presenza di un affresco davvero inquietante: sono rappresentate otto monache, una di fianco all’altra. Nulla di strano, visto che siamo in un monastero, ma la curiosità è che 3 di queste sono prive di volto! Tra l’altro i volti sono di un ovale perfetto, privo di qualsiasi traccia, come se l’intenzione dell’autore fosse proprio quella di ritrarle senza viso.
Esiste anche una leggenda legata a questa stranezza: Chi realizzò l’affresco volle ritrarre i volti delle donne il più fedelmente possibile, ma tre monache si allontanarono dal monastero per fatti ignoti, lasciando così incompleti i ritratti, vuoti, nell’attesa di essere completati al loro ritorno. La cosa però non accadde mai, perché le tre monache “senza identità” morirono schiacciate a causa di una frana lungo il sentiero.
Si dice che i loro spiriti stiano ancora oggi vagando per i campi di Torba nel tentativo di rientrare nel dipinto. Il giorno in cui ci riusciranno avranno un’identità e potranno finalmente accedere al Paradiso. Quando ciò accadrà noi lo sapremo perché lo vedremo con i nostri occhi!

FONTE: Misteri dal Mondo – Credere Per Vedere