the-monster-studyThe monster study

Se l’umanità è giunta a sconfiggere gran parte delle malattie che l’hanno afflitta nei secoli è per merito dello studio, delle invenzioni e degli esperimenti. Certo è che il progresso è costato vite umane perchè sin dai primi anatomisti abbiamo dovuto compiere i nostri esperimenti su cavie spesso inconsapevoli o comunque non consenzienti, perciò purtroppo bisogna ammettere tutti noi quando prendiamo un farmaco abbiamo indirettamente sulla coscienza qualche poveretto, sia esso umano o animale.
Di certo non possiamo piangere sul latte versato, ma è giusto ricordare che a volte certi ricercatori o studiosi hanno effettuato ed effettuano esperimenti del tutto illogici o insensati, che conducono a risultati discutibili o inutili.
Uno di questi fu un esperimento sulla balbuzie, un disagio che hanno provato molti da piccoli e che molti hanno anche in fase adulta. Anche io da piccolo ero balbuziente e per un certo periodo facevo fatica ad esprimermi. Per fortuna non ho partecipato ad un esperimento come quello del dottor Johnson, altrimenti probabilmente non sarei qui a scrivere articoli.
La “balbuzie” raggruppa diversi tipi di impedimenti del linguaggio più o meno gravi che porta a forte stress, a temere di iniziare una conversazione, avere attacchi di ansia e addirittura ad isolarsi dalla vita sociale. Le cause esatte della balbuzie non sono state scoperte, così come non è ancora stata trovata una vera e propria cura definitiva per il problema: per questo motivo ancora oggi si eseguono esperimenti volti a risolvere questo problema o quanto meno a scoprirne le cause ( alcuni leciti, altri meno).
Il “Monster Study” fu un esperimento sulla balbuzie, effettuato su 22 bambini orfani a Davenport nel 1939. Fu condotto dal dottor Wendell Johnson, uno dei più famosi psicologi americani, specialista in patologie del linguaggio presso la Università dell’Iowa. Johnson però viene spesso ricordato soltanto per un esperimento sfortunato e discutibile sotto il profilo etico che ne ha macchiato irrimediabilmente il nome.
Wendell Johnson era convinto che la balbuzie fosse fortemente influenzata da fattori esterni quali l’educazione, l’autostima e l’ambiente di sviluppo del bambino. Per provare questa sua teoria nel 1939 Johnson elaborò un complesso esperimento che affidò a una studentessa universitaria, Mary Tudor, sotto la sua supervisione. Lo scopo del progetto consisteva nel verificare quanto influissero i complimenti e i rimproveri sullo sviluppo del linguaggio: la Tudor avrebbe cercato di “curare” la balbuzie di alcuni bambini lodando il loro modo di esprimersi, e allo stesso tempo di indurla in altri bambini perfettamente in grado di parlare tramite continui attacchi alla loro autostima. Venne deciso che le piccole cavie umane sarebbero state dei bambini orfani, in quanto facili da reperire e privi di figure genitoriali che potessero interferire con il progetto.
In un orfanotrofio dello Iowa, Johnson e Tudor selezionarono 22 bambini dai 5 ai 15 anni, che avevano tutti perso i genitori in guerra; di questi 10 erano balbuzienti. I bambini con problemi di balbuzie vennero divisi in due gruppi:

– Gruppo IA: la Tudor doveva ripetere che il loro linguaggio era ottimo e che non dovevano preoccuparsi perchè presto il loro problema sarebbe stato curato;
– Gruppo IB: era un gruppo di controllo statistico dello sviluppo della balbuzie e i bambini non ricevevano particolari suggestioni o complimenti.

Dei 12 bambini che parlavano fluentemente vennero formati altri due gruppi:

– Gruppo IIA: era il principale obiettivo dello studio e il gruppo più controllato; ai bambini, tutti in grado di parlare bene, venne fatto credere che il loro linguaggio mostrasse un inizio preoccupante di balbuzie. La Tudor doveva intimidirli e spaventarli facendo notare ogni loro minimo inciampo in modo da suscitare loro una paura di sbagliare e un’instabilità psicologica. Quando un bambino si esprimeva in maniera errata o abbassava la voce per timore lei doveva incalzarlo dicendo cose del tipo:
<< Hai dei grossi problemi di linguaggio!>>
<<Hai molti dei sintomi di un bambino che comincia a balbettare. Devi cercare immediatamente di fermarti quando non riesci ad esprimerti!.>>
<<Usa la forza di volontà! Fa qualunque cosa pur di non balbettare!>>
<<Non parlare nemmeno finché non sai di poterlo fare bene!>>
<<Vedi come balbetta quel bambino, vero? Beh, certamente ha iniziato proprio come stai facendo tu!>>

– Gruppo IIB: i bambini più fortunati erano proprio questi, per il motivo che venivano educati in maniera normale e corretta.
L’esperimento durò da gennaio a maggio, con Mary Tudor che parlava ad ogni bambino per 45 minuti ogni due settimane. I bambini del gruppo IIA, bersagliati per i loro fantomatici difetti di pronuncia, mostrarono immediatamente un forte disagio: i loro voti peggiorarono e persero sicurezza in ogni cosa che facevano. Una bambina di nove anni cominciò a rifiutarsi di parlare e ogni volta che la Tudor si tratteneva con lei si copriva gli occhi con le mani; un’altra di cinque anni divenne molto silenziosa; una ragazzina quindicenne per evitare di balbettare cercò di eludere l’attenzione della donna ripentendo la parola “Ah” fra una parola e l’altra e prendere tempo, ma quando venne rimproverata per quel modo di parlare andò in crisi e iniziò a schioccare le dita per impedirsi di dire “Ah”.
I bambini della sezione IIA divennero introversi e insicuri. La stessa Mary Tudor riteneva che la ricerca si fosse spinta troppo oltre: presa dai sensi di colpa per ben tre volte dopo aver concluso l’esperimento Mary ritornò all’orfanotrofio per rimediare ai danni che era convinta di aver provocato tentando di convincerli che non avevano mai veramente balbettato. Purtroppo quel tardivo gesto di pietà disorientò ancora di più le loro già confuse menti che in vedevano un vero e proprio mostro.
Johnson, alla fine dell’esperimento, giunse alla conclusione che la balbuzie poteva essere imposta anche erroneamente dai familiari: genitori troppo apprensivi potevano infatti scambiare per balbuzie dei piccoli difetti di linguaggio e ingigantirli fino a portarli a livello di una vera e propria patologia.
Johnson, resosi conto dei danni che aveva provocato ai bambini dell’esperimento, non volle pubblicare il suo studio e lo rese consultabile gratuitamente all’università. La vicenda venne fuori molti anni dopo al sua morte ( morì nel 1965), esattamente nel 2001, quando uno studente, leggendo i suoi scritti, alimentò un intenso dibattito sull’eticità del suo lavoro.
L’Università si scusò pubblicamente per aver finanziato il “Monster Study” (com’era stato immediatamente ribattezzato dai giornali), e il 17 agosto 2007 sei degli orfani ancora in vita ottennero dallo Stato un risarcimento di 950.000 dollari per le ferite psicologiche ed emotive sofferte a causa dall’esperimento.
Alcuni degli odierni patologi del linguaggio tendono a difendere Johnson e i suoi studi ricordando che negli anni ’30 non esisteva ancora alcuna direttiva scientifica riguardo gli esperimenti sugli esseri umani e che quindi vada piuttosto elogiato per aver illuminato la strada ai suoi successori (in pratica ritengono che, come molti altri esperimenti che hanno mietuto vittime e i risultati sono ancora sfruttati oggi, non bisognerebbe infierire sulla sua figura)
Il Monster Study però oggi è considerato un esperimento infame e riprovevole, almeno secondo gli standard morali odierni, visto che ha causato problemi emotivi e psicologici a un gruppo di minori già provati dalla morte dei genitori.
Purtroppo quello fu solo uno dei tanti esperimenti sciagurati di quel periodo: di lì a poco si sarebbero effettuati esperimenti umani ben più terrificanti…

FONTE: Misteri dal Mondo – Credere Per Vedere