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Unabomber, l’uomo dei pacchi bomba

Theodore John Kaczynski è un criminale molto noto negli USA che sta scontando l’ergastolo senza possibilità di appello nel carcere di Florence, nel Colorado. Il nome a noi non dice molto, ma tutti conosciamo il suo soprannome, ovvero “Unabomber”.
Kaczynski è un matematico, ex docente universitario e terrorista statunitense che tra il 1978 e il 1996 ha inviato pacchi postali esplosivi a numerose persone provocando 3 morti e 23 feriti, alcuni di questi costretti all’amputazione. Giustificò i suoi atti come tentativi di combattere “i pericoli del progresso tecnologico”. Il nome Unabomber deriva dal nome in codice usato dall’FBI durante le indagini, che in realtà era “UNABOM” (da UNiversity and Airline BOMber); poi i giornalisti fecero il reso, storpoandolo in diversi modi fino a giungere ad “Unabomber”.
Io però qui non voglio parlarvi di Kaczynski, ma di un altro terrorista che si è probabilmente ispirato a lui e da lui ha preso il suo appellativo: intendo l’Unabomber italiano.
Il nome del criminale italiani che tra il 1994 e il 2006 ha terrorizzato il nord Italia forse non si saprà mai. Poi dirvene uno, Elvo Zornitta, che è stato arrestato con quell’accusa, ma oggi Zornitta è libero e scagionato da ogni accusa.
Ma andiamo con ordine.
Tutto ha avuto inizio il 21 agosto 1994 a Sacile, nel Friuli. Si stava celebrando la 721ª edizione della Sagra dei Osei alla quale accorsero almeno 50.000 persone. Alle 10,45 una donna trovò un tubo di ferro lungo circa una spanna nei pressi di un cespuglio di ortensie e per curiosità iniziò a rigirarlo tra le mani per capire cosa fosse (i tubi, di diverse dimensioni saranno una costante degli attentati di Unabomber). All’improvviso la miscela esplosiva all’interna del tubo reagì e l’oggetto deflagrò proiettando ovunque schegge metalliche e biglie di vetro. La donna e due dei suoi figli rimasero lievemente feriti.
Un piccola precisazione: in realtà ci sarebbe da considerare un evento di 8 mesi prima, ovvero l’esplosione di una cabina telefonica a Portovecchio, una frazione di Portogruaro, l’8 dicembre 1993, ma le modalità, il tipo di esplosivo e l’entità dello scoppio fu talmente diversa dal resto degli attentati che si suppone sia stato un caso a se.
Da allora l’attività di Unabomber crebbe esponenzialmente e tutto il nord-est dell’Italia iniziò a vivere nel terrore, sviluppando anche in alcuni periodi una vera e propria psicosi di massa.
A differenza dei più comuni criminali, Unabomber non sceglieva le sue vittime ma, almeno in apparenza, ha sempre colpito a caso e senza un motivo plausibile. Si è cercato di costruire un profilo psicologico del terrorista, ma le esplosioni erano talmente sparse nel tempo e sul territorio che le uniche cose che si notò fu che avvenivano in giorni di festa, nelle ricorrenze religiose e con obiettivo soprattutto i bambini.
Anche queste tre cose vennero poi messe in discussione poiché anche se le esplosioni si verificavano nei giorni a cavallo delle festività ciò non significava che la bomba fosse stata messa quel giorno stesso; si disse poi che gli ordigni venivano messi in giocattoli o ovetti Kinder non tanto per colpire i bambini, ma perché sono gli oggetti più acquistati; e perfino la teoria di un integralista religioso fu sgretolata perché in effetti solo alcune delle esplosioni avvenivano in festività cristiane. Insomma, le autorità erano nel buio più completo.
Venne ipotizzata una pista terroristica organizzata, ma nuovamente l’idea cadde quasi subito: in realtà pure io ho sbagliato finora a chiamarlo “terrorista” perché nei 12 anni di attività non ci fu mai alcune rivendicazione, nessuna sigla o firma, nessun obiettivo politico o religioso. L’obiettivo di Unabomber era semplicemente quello di fare del male, ma non così tanto da uccidere: non ci sono stati morti a causa di Unabomber ma solo molti feriti ( più o meno gravi) e gli ordigni non erano mai tarati per una deflagrazione violentissima.
Tra il 1994 e il 2002 non ci fu alcun nesso tra un attentato e l’altro: gli oggetti erano dei più vari e posizionati in diversi negozi, luoghi di ritrovo, giardini pubblici e luoghi dove comune l’affollarsi della gente.
Tra il 1996 e il 2000 Unabomber, probabilmente per timore di essere scoperto, si prese una pausa durante la quale è noto solo un caso: il 1º febbraio 1998 venne scoperto un ordigno inesploso presso una trattoria di Poincicco, in provincia di Pordenone.
Nel 2002 però Unabomber iniziò a concentrarsi su oggetti per bambini. Ovetti Kinder, barattoli di Nutella, succhi di frutta, contenitori per bolle di sapone, pacchetti di patatine e tutto ciò che i bambini normalmente chiedevano ai genitori nei supermercati. Il risultato fu una seria lunghissima di esplosioni in cui i disgraziati persero dita delle mani, la vista ( e a volte gli occhi stessi), ustioni e sfregi a volte insanabili.
Poi Unabomber cambiò nuovamente obiettivi e iniziò a tormentare le istituzioni con un ordigno al palazzo di giustizia e diversi pacchi bomba posti in chiese e cimiteri.
Si è a lungo parlato anche di emulatori e forse non tutti gli attentati sono da imputare ad un’unica persona; sta di fatto che il raggio di azione di Unabomber era talmente vasto e le deflagrazioni avvenivano in maniera così irregolare che non compariva nessun reale sospetto.
Poteva essere chiunque si trovasse nell’area degli attentati con poche nozioni di chimica. Migliaia di persone nell’area Pordenone-Portogruaro-Lignano che nemmeno i sofisticati algoritmi dei software dell’FBI erano capaci di selezionare in modo accurato.
L’ultimo episodio avvenne in Veneto, a Caorle, esattamente alla foce del Livenza. Era il 6 maggio del 2006. Lungo litorale l’infermiere Massimiliano Bozzo e la sua fidanzata stavano facendo una passeggiata, quando videro nei pressi di un masso una bottiglia che sembrava contenere qualcosa. Pensando che fosse un messaggio in bottiglia l’uomo la raccolse, ma non appena la rigirò questa esplose e ferì gravemente sia lui che la ragazza.
In quel periodo le indagini portavano a una ventina di nomi di probabili colpevoli: tute persone distinte e insospettabili, ma che erano state ricondotte ai luoghi delle ultime esplosioni. Tra di loro c’era Elvo Zornitta, un ingegnere che viveva ad Azzano Decimo, sulla strada statale per Pordenone.
Elvo Zornitta finì ufficialmente sotto indagine dalle 6,40 del 26 maggio 2004, quando le forze dell’ordine entrarono nella sua abitazione. Gli elementi contro Zornitta erano molti di più di quelli a carico degli altri sospetti: l’uomo possedeva elevate competenze tecniche, per lavoro si spostava nel raggio d’azione di Unabomber, ma soprattutto la cosa che fece pensare che il caso fosse chiuso fu il rinvenimento di piccoli oggetti componibili simili a quelli usati dall’attentatore, tra cui alcuni petardi privi della polvere pirica.
L’uomo però aveva un alibi inattaccabile per alcuni degli attentati e i test del DNA diedero esito negativo.
Ma il 10 ottobre 2006 a processo fu presentata una prova schiacciante contro Zornitta: la compatibilità tra le lame di un paio di forbici sequestrate e i tagli sul lamierino di uno degli ordigni trovati.
«Elvo Zornitta, classe 1957: imperturbabile, ordinatissimo, preparatissimo e… “diabolico”» dissero gli inquirenti ricordando il contrasto fra il buon padre di famiglia e la sua straordinaria capacità criminale. Un dottor Jekyll e mister Hyde, un uomo in grado di gabbare tutti riuscendo a piazzare quattro bombe mentre era indagato, intercettato e pedinato, di mutilare bambini avendo una figlia piccola, di profanare chiese nonostante la profonda fede religiosa. Era lui il mostro!
Peccato solo che quei segni li abbia probabilmente fatti un’altra persona, una che voleva assolutamente incastrarlo a costo di mandare in prigione un (presunto) innocente
Nel 2009 la procura di Trieste decise di far cadere tutte le accuse su Zornitta quando venne a galla che il poliziotto Ezio Zernar aveva truccato la prova regina (il lamierino di un ordigno) per incastrarlo.
Alla fine come si è concluso il caso Unabomber?
Elvo Zornitta, dopo anni di tribunale, cerca di tornare ad una vita normale, sebbene sia ancora traumatizzato e lo sia anche sua figlia;
Ezio Zernar nel 2013 è stato condannato a due anni di reclusione per falso ideologico e frode processuale;
oltre 30 ordigni in 12 anni hanno provocato mutilazioni, ferite e danni anche irreversibili a molti innocenti che hanno avuto al sfortuna di trovarsi al posto sbagliato al momento sbagliato;
Unabomber oggi non ha un nome ne un volto; nessun sospetto che possa ricondurre al criminale che ha terrorizzato il nord Italia e il caso è stato archiviato senza nessun colpevole e nessun risarcimento per le vittime.
Che fine ha fatto allora? Beh, se non è morto in questi anni è molto probabile che il boom mediatico lo abbia convinto a cambiare vita o a trasferirsi chissà dove. Magari in questo momento sta leggendo qyesto articolo con un profondo sorriso sulle labbra… Chissà.