Vermi spaziali a due teste

È l’ultima frontiera della ricerca scientifica, nonostante i social networks tendano ad amplificare e distorcere le notizie: l’uomo si sta preparando per esplorare fisicamente lo spazio, ovviamente cominciando dal pianeta Marte. Sì, certo, siamo stati sulla Luna, ma negli ultimi decenni abbiamo preferito creare telescopi e tecnologia piuttosto che rischiare la vita di esseri umani nell’esplorazione dello spazio; però ora siamo pronti… forse.

Di problemi là fuori (nello spazio) sembrano essercene molti di più di quelli che l’uomo affronta sulla Terra: sto parlando di impedimenti per la sopravvivenza, condizioni esistenziali che ad oggi non siamo in grado di affrontare a lungo termine perché i nostri corpi si sono evoluti per vivere esclusivamente alle condizioni terrestri.

Ora potrei citarvi i tantissimi esercizi fisici e mentali a cui devono sottoporsi gli astronauti nello spazio, ma diventerei noioso; basti pensare che qualunque cosa si cerchi di fare per far sopravvivere una persona sulla stazione ISS, questa dopo pochi mesi è costretta a tornare sulla Terra per non incorrere in danni irreversibili.

Ma la scienza non conosce ostacoli e per progredire deve affrontare questi problemi sperimentando, testando e deducendo metodi per ovviarli. Ecco perché nel gennaio del 2015 si è dato inizio all’ennesima missione per studiare il comportamento di esseri viventi alle condizioni di vita della Stazione Internazionale: gli scienziati hanno pensato di inviare con la SpaceX Commercial Resupply Service Mission 5 (una missione di rifornimento) anche delle scatole sigillate con dentro dei vermi piatti in modo da studiarne il loro adattamento.

Ovviamente si è approfittato della presenza di molti anellidi per sperimentare diverse condizioni di vita, compresa l’esposizione ai raggi cosmici e alle radiazioni solari (noi sulla Terra siamo fortunati perché l’atmosfera filtra gran parte delle radiazioni solari grazie allo strato di ozono); ma non ci si è fermati qui: è nato addirittura un “progetto rigenerazione” con lo scopo di studiare come si comportavano i vermi se tagliati a metà e i risultati sono stati sconvolgenti.

Al termine della missione i vermi sono stati analizzati in laboratori specializzati e si è notato che nonostante la rigenerazione sia avvenuta nel 100% dei casi, come di norma, alcuni esemplari hanno rigenerato non una coda ma una seconda testa, in tutto e per tutto efficiente. La seconda testa addirittura aveva doppia funzione di bocca e di ano e sembrava maggiormente specializzata che quella principale.

Michael Levin, professore di biologia all’Università di Tufts (nel Massachusetts) ha affermato che gli esemplari mutati hanno ricostruito un apparato digerente del tutto speculare a quello principale, ma per poter espellere i rifiuti il nuovo apparato è divenuto simile a quello di molti molluschi e gasteropodi, cioè ha assunto una doppia funzione per poter rimediare alla mancanza della parte tagliata.

Incredibilmente, i vermi a due teste hanno mantenuto la modifica anche sulla Terra e da oltre un anno ogni volta che vengono tagliati a metà non rigenerano più una coda ma una seconda testa. Inoltre, e ciò ha preoccupato molto gli studiosi, i vermi mutati hanno mostrato significative differenze nel comportamento e nella composizione dei microbiomi, il ciò potrebbe voler dire che l’essere umano nelle stesse condizioni potrebbe ricevere mutazioni mortali o agenti anche a livello psicologico.

Uno dei molti bizzarri comportamenti dei vermi a due teste è che ad oggi, dopo molto tempo sulla Terra, continuino ad evitare (se possono) i luoghi bui, a costo di ammassarsi in pochissimo spazio alla ricerca di luce.

I ricercatori vedono ovviamente il “bicchiere mezzo pieno” e alcuni spiegano che questa rigenerazione anomala potrebbe in un futuro essere utilizzata per trattare un giorno le ferite o le amputazioni degli astronauti nello spazio.

Detto questo, se siete tra i 18.000 che non sono stati scelti per entrare nel programma di formazione per astronauti della NASA, potreste in qualche modo tirarvi su di morale dopo questo articolo, perché, almeno a mio parere, siamo ancora ben lontani da andare a colonizzare altri pianeti dell’universo.

FONTE: Misteri dal Mondo – Credere Per Vedere