gatto_occhi

I gatti e la consapevolezza della morte

È opinione comune, non solo negli illustrissimi scienziati, che l’essere umano sia un animale superiore a tutti gli altri e che abbia un “giusto posto” in cima alla catena alimentare. Addirittura c’è chi pensa che l’uomo non sia nemmeno un animale, ma che appartenga ad un regno a parte.
La verità è che la nostra superiorità rispetto agli altri animali è dovuta ad un migliore sviluppo delle proprie capacità e ad un adattamento ad ogni clima del pianeta.
Ma cosa ci distingue dagli altri animali? Anche qui la scienza vuole darci la sua definizione ( perché dimostrarla è parecchio difficile): l’uomo, a differenza degli altri animali, ha un intelletto più evoluto e riesce ad creare pensieri astratti che gli permettono di costruire oggetti complicati e utensili per meglio sopravvivere.
Personalmente non sono d’accordo con questa definizione e credo che non solo l’intelligenza animale sia pari alla nostra ( non a caso nella nostra evoluzione abbiamo sempre imitato alcuni comportamenti animali e tutt’oggi la scienza cerca di carpire alcuni segreti che potrebbero aiutarci), ma che molti di loro si ingegnino e usino strumenti per mangiare, dormire, accoppiarsi ecc.
C’è allora chi dice che la differenza sta nella coscienza di se: l’uomo ragiona e agisce con pensieri complessi, mentre gli animali agiscono per istinto di sopravvivenza. Mai affermazione fu più errata. Prendiamo ad esempio i gatti: non serve avere animali domestici ( ma chi li ha lo nota ogni giorno) per vederli chiedere coccole anche senza scopo di cibo, affezionarsi ad una persona piuttosto che un’altra, piangere per la scomparsa di un loro congiunto o addirittura un essere umano, reagire al dolore altrui ( chi ha un cane o un gatto lo nota quando sta male: il nostro amico ci assiste come se soffrisse con noi), allattare cuccioli non propri e addirittura di altre razze ( sotto questo aspetto sono molto migliori di noi)…
Non divago oltre e giungo subito al nocciolo della questione: il gatto (ma il discorso si più estendere ad ogni animale) è davvero cosciente di se? E come affronta la morte?
Congetture, sia la scienza che noi comuni mortali possiamo solo appellarci alle nostre osservazioni e a congetture perché ancora non abbiamo capito come comunicare con loro ( quando addestriamo un animale non comunichiamo con lui, ma semplicemente lo obblighiamo a fare cosa vogliamo). Io vi spiego il mio pensiero, ma ovviamente anche la mia è una congettura e non pretendo che il mio pensiero sia condiviso.
Partiamo dal concetto di morte. A noi esseri umani la morte non è molto chiara: la religione ( praticamente tutti i culti del mondo sia passati che attuali) ci spinge a credere che sia solo una tappa e che la nostra esistenza continui in qualche modo; la scienza invece afferma che la morte è il capolinea e che dopo ogni traccia di noi svanisce. L’uomo ha paura della morte e perfino il più scettico negli ultimi istanti di vita nutre la speranza che ci sia qualcosa dopo la morte.
Gli animali al contrario non hanno una definizione così ampia delle morte ( perché noi umani abbiamo fantasticato molto su di essa), ma sembra che si rendano conto che sia una tappa della loro vita e che dopo ogni cosa cambi.
Chi ha visto o avuto un gatto morente si sarà sicuramente reso conto che l’animale è cosciente di ciò che gli sta capitando e nei giorni precedenti alla fine si comporti in maniera insolita. Intendo ovviamente morte per malattia, vecchiaia o ferite, non di certo di morti improvvise, ma non è raro che il nostro micio inizi a diventare irrequieto, si isoli in luoghi poco luminosi, tenti di scansarsi quando viene toccato o semplicemente si allontani di casa.
Anche qui dobbiamo fare una distinzione tra gatti domestici e gatti randagi o abbandonati:
– Un gatto domestico in realtà affronta le ore precedenti la morte con un atteggiamento turbato e pauroso. Spesso l’anziano felino scompare e viene trovato morto in un angolo della rimessa, nel garage, nella cantina o in una tana poco distante dalla sua casa: questo a mio parere avviene perché molti gatti preferiscono morire da soli per non fare vedere al suo padrone il suo aspetto da moribondo, un po’ come capita agli anziani quando si sentono di peso per la famiglia. Per un gatto domestico ( non mi ripeto, ma estendo il concetto a qualunque altro animale) la malattia rappresenta un evento spiacevole che lo sta minacciando e che probabilmente lui non comprende, ma che comunque gli provoca paura e spesso dolore. Per lui c’è semplicemente qualcosa che non va, ma se non vede da dove proviene il pericolo non può reagire per affrontarlo e difendersi con una zampata e per lui rimangono soltanto due alternative: scappare o nascondersi. Ma probabilmente in lui nascono due sentimenti contrapposti: il primo è il desiderio della casa e dei suoi cari umani che se ne sono presi cura; il secondo è la consapevolezza che quell’ultimo viaggio deve essere fatto da solo e che la sua sofferenza recherebbe solo dispiacere ai suoi padroni. Ecco perchè secondo me, quando un gatto sta per morire, non si allontana quasi mai da casa e muore nei suoi pressi, nascosto ma sempre vicino a chi lo ama. Ovviamente io sto generalizzando e ci sono anche casi in cui i gatti restano in casa anche per morire e preferiscano abbandonarsi su una vecchia poltrona, sul cuscino che preferiva o, più tristemente, tra le braccia dei propri padroni.
– Un gatto randagio o che ha subito maltrattamenti invece tendere a scappare più lontano possibile dagli esseri umani perché di loro non ha fiducia e teme che il dolore e la sofferenza possa peggiorare nelle loro vicinanze. Cercheranno quindi un rifugio in luoghi abbandonati, comodi e caldi e lì attenderanno che tutto finisca.
Io non ho alcun dubbio che gli animali siano coscienti della propria e della morte di chi gli sta vicino e credo che, sebbene spesso non sia facile capire i loro comportamenti, soffrano e affrontino al morte proprio come noi: con molta paura.
Cosa possiamo fare noi per aiutarli? Semplicemente tentare di capire cosa voglia realmente il nostro amico animale: se vuole allontanarsi non lo fa per disprezzo, ma perché vuol restare solo; se resta in casa e si comporta in modo strano forse vorrà semplicemente delle coccole e morire in serenità vicino a chi gli è caro.
Esiste poi al controversa opzione dell’eutanasia, in cui preferisco non addentrarmi perché, così come per gli esseri umani, è un tema troppo scottante per essere trattato in leggerezza in un articolo del genere.
A differenza del solito a completezza dell’articolo questa volta li lascio un video in cui si può capire quanto gli animali comprendano la morte di un amico e quanto spesso facciano fatica a farsene una ragione ( esattamente come noi umani).

FONTE: Misteri dal Mondo – Credere Per Vedere