Hiroo OnodaHiroo Onoda, un caso di patriottismo estremo

Oggi forse il senso di “patria” si è un po’ perso ovunque, ma ci sono stati uomini che nella storia per il loro paese sono arrivati ad enormi sacrifici, pronti anche a quello estremo. Quest’uomo ha combattuto per il suo paese ( Giappone) tutta la vita, rinunciando ad ogni cosa, ad ogni comodità e eseguendo gli ordini ricevuti per oltre 30 anni in attesa che il suo diretto superiore tornasse a ragguagliarlo.
Hiroo Onoda nacque a Kainan il 19 marzo 1922 e quando venne chiamato all’obbligo di leva prese i suoi impegni patriottici molto seriamente (forse troppo seriamente), diventando un sergente rigido e ligio al dovere.
Durante la Seconda Guerra Mondiale venne richiamato a servire il Giappone e lui rispose “presente!” rimettendosi in forma ancor prima di vestire la divisa. Un uomo del genere non poteva che diventare un membro dell’elite “Futamata Bunko di Nakano”, un guerrigliero senza paura e addestrato alle missioni speciali.
Il 26 dicembre 1944 il suo battaglione fu inviato nell’isola di Lubang con il compito di ostacolare l’avanzata nemica. Onoda e i suoi commilitoni ricevettero l’ordine dal maggiore Taniguchi di non arrendersi mai, a costo della vita: un qualsiasi altro eventuale comando lo avrebbe riferito lui con un espresso ordine.
Il 28 febbraio 1945 la piccola isola subì un attacco massiccio da parte degli americani che annientò quasi tutte le milizie nipponiche. Onoda e tre compagni (Yuichi Akatsu, Shoichi Shimada e Kozuka Kinshichi) però si salvarono e si nascosero tra le montagne.
« Ero un ufficiale dell’intelligence e l’ultimo ordine che ricevetti fu di condurre imboscate e azioni di guerriglia… Ogni soldato giapponese, me compreso, era pronto a morire!» raccontò Onoda in un’intervista nel 2010.
Arrivò il 15 agosto del 1945 e l’imperatore Hirohito annunciò l’impossibilità di continuare la lotta, ordinando infine al suo esercito di “sopportare l’insopportabile”: la resa. Il tenente Onoda e i suoi però quel discorso non lo sentirono mai, perchè erano in chissà quel anfratto o nascondiglio sull’isola Lubang.
Onoda e i suoi continuarono ad eseguire l’ultimo ordine certo ricevuto: attaccarono villaggi, ostacolarono ogni via di comunicazione, minarono i ponti, bruciarono raccolti e spararono ai contadini. Quattro soldati giapponesi isolati e irriducibili che rifiutavano la fine della Seconda Guerra Mondiale perchè avevano un ordine ben preciso da eseguire: non arrendersi mai, a nessun costo!
Furono lanciati volantini nella giungla per spiegare che era tutto finito e che era giunto il momento di porre termine a quella follia. Onoda ne trovò più d’uno:
«Ma c’erano degli errori e pensai che fosse un trucco degli americani».
Nel 1949 Akatsu era stanco di quella vita così dura e si fidò del volantino: abbandonò il gruppo e si arrese spontaneamente facendosi recuperare sulla costa.
Shimada finì i suoi giorni nel 1954 durante uno scontro a fuoco con le autorità filippine e nel 1972, sempre in seguito ad uno scontro a fuoco, anche Kozuka venne ucciso. Onoda rimase da solo e da quel momento furono diversi i tentativi di rintracciarlo: nel 1972 tramite la sorella, il fratello e degli amici e nel 1973 anche il padre fu condotto sull’isola per chiamarlo con un megafono. Nulla, Onoda era imprendibile e non ci fu modo di convincerlo ad arrendersi.
Il tenente Onoda danneggiava, sabotava e uccideva: 30 filippini caddero nelle sue imboscate in quei 29 anni.
Il 20 febbraio 1974, dopo quattro giorni di ricerche, il giornalista giapponese Norio Suzuki trovò finalmente Onoda che, forse per solitudine, forse per stanchezza, concesse all’uomo un’intervista. Quando il giornalista gli chiese il motivo della sua ferma resistenza lui rispose nella maniera più naturale possibile:
<<Combatterò finche il maggiore Taniguchi non mi darà un ordine diverso…>>
Suzuki fece ritorno in Giappone con le foto del militare a prova del suo contatto. L’esercito giapponese ricontattò Taniguchi e convinse l’ufficiale, ormai in pensione da tempo, ad indossare nuovamente la sua divisa e andare da Onoda.
Era il marzo del 1974. Dalla giungla filippina uscì un uomo che aveva ormai 52 anni, ma con lo stesso berretto del 1945, una giubba logora e lo sguardo d’un fantasma. Il maggiore Taniguchi gli lesse il proclama dell’imperatore del 1945 e Onoda sugli attenti attese le parole definitive: doveva arrendersi.
Hiroo Onoda andò fino a Manila a consegnare la sua spada al presidente delle Filippine, quindi salutò la bandiera giapponese, si inginocchiò di fronte ad essa ed infine si arrese.
Divenuto simbolo di lealtà e patriottismo in Giappone, Onoda però emigrò in Brasile a causa delle difficoltà a riambientarsi in quel paese che non riconosceva più. Nel 1976 si sposò e scrisse le sue memorie e nel 1984 tornò in Giappone dove tentò di trovare il suo spazio in quel Giappone così diverso da quello che aveva lasciato nel 1945. Nel 1996 volle tornare a Lubang, ma questa volta per donare una grande somma di denaro ad una scuola elementare.
Il 17 gennaio 2014 è morto a 91 anni un uomo che ha combattuto per 29 anni una guerra che per il mondo intero era finita. Un paranoico? O patriottico estremo? Sicuramente un uomo che per il suo paese ha avuto una fedeltà incrollabile.