Alfredo RampiIl bambino nel pozzo: La triste storia di Alfredo Rampi

Quella che sto per raccontarvi è una storia che molti di voi già conoscono, primo perchè è avvenuta pochi anni fa ( nel 1981 per essere precisi), secondo perchè quel giorno tutta la vicenda fu seguita a reti unificate in tutta Italia. Eh, sì, Alfredo Rampi era il “bambino caduto nel pozzo”.
La triste vicenda ebbe inizio il 10 giugno 1981 e l’assassino fu un pozzo artesiano in via Sant’Ireneo, in località Selvotta, una piccola frazione di campagna vicino a Frascati.
Ferdinando Rampi, il padre del piccolo Alfredo, lavorava a Roma in un’azienda di acqua e luce. Ogni anno ad inizio estate assieme a tutta la sua famiglia si trasferiva in campagna, dove possedeva una villetta per poter dare un po’ di sollievo al suo bambino. Alfredo, di soli 6 anni, infatti soffriva sin dalla nascita di un problema cardiaco e quell’anno finalmente sarebbe effettuato l’intervento per poter cambiare la sua vita in meglio.
Quel giorno la famiglia ricevette degli amici e, mentre il padre si intratteneva con loro, la mamma di Alfredo si mise a preparare la cena. Ferdinando suggerì agli amici di fare una passeggiata mentre aspettavano che la cena fosse pronta e così il gruppo si incamminò lungo la stradina sterrata chiacchierando del più e del meno.
Nessuno di loro però si accorse che Alfredo aveva deciso di seguirli, pur mantenendosi alcune decine di metri indietro per non farsi sgridare. Dopo diversi minuti il gruppo rientrò a casa e, non vedendo il bambino ne in giardino ne in casa, Ferdinando domandò alla moglie dove fosse il figlio.
Tutti iniziarono a cercare il bambino setacciando la villetta e il vicinato, ma del piccolo Alfredo non ci sono tracce. Il sesto senso fece quasi subito giungere a svelare l’arcano e il loro pensiero andò ad una nuova abitazione dove si stava scavando un piccolo pozzo.
I genitori allarmati e in preda al panico chiamarono la polizia, i vigili urbani e i vigili del fuoco e a loro si unirono anche i vicini per dare una mano nelle ricerche. Verso la mezzanotte del 1981 la polizia si reca nel terreno poco distante dove si trovava il buco trivellato. Giunto sul posto il brigadiere Giorgio Serranti si chinò sul pozzo e sentì la voce del piccolo che chiamava la mamma.
Il piccolo si trovava dentro il pozzo e nella caduta si incastrò a 36m di profondità. Il buco era profondo 80m e una caduta ulteriore avrebbe causato la morte del bambino. Le operazioni di salvataggio ebbero inizio in piena notte e il caso fu seguito momento per momento dalla RAI fino al tragico epilogo.
I primi tentativi di salvare Alfredo furono quelli di calare un cestello con una corda per fargliela afferrare, ma essa si incastrò nei laterali delle pareti del pozzo, formando un tappo che peggiorò perfino la situazione.
A quel punto si decise di calare un uomo molto magro che potesse entrare dentro il buco e afferrare il bambino: venne scelto Tulio Bernabei, ma dopo circa 20m fu costretto a risalire perché il buco si faceva troppo stretto e gli impediva i movimenti. In mattinata verso le 6 la situazione si complicò maggiormente: Alfredo era debole e stanco e l’appiglio a cui era agganciato iniziava a cedere.
La migliore idea allora fu quella di fare arrivare una trivella e di fare un buco vicino a quello esistente, in modo da arrivare a 38m e scavare una galleria laterale per salvare il bambino. La polizia con il megafono iniziò a parlare al bambino per mantenerlo vigile e monitorare le sue condizioni. La prima trivella non fu abbastanza efficace e se ne fece arrivare un ‘altra ancora migliore e più agile che iniziò a scavare alla massima velocità possibile.
Per tutto il giorno la trivella lavorò incessantemente terminando solo durante la nottata successiva.
La notizia rimbalza in TV e si giornali e sul posto giungono diversi collaboratori che si offrono per scendere nel pozzo primario, ma senza nessun risultato. Arrivano curiosi da tutta Italia e persino il presidente Sandro Pertini si mette le cuffie per comunicare con Alfredo e fargli coraggio.
Gli operai dei mezzi meccanici, ormai sfiniti sia dalla stanchezza che dal sole, riuscirono a scavare il tunnel di collegamento tra i due pozzi.
Il bimbo, monitorato dai medici, iniziò a peggiorare nel respiro e nei battiti, così si decise di intervenire tempestivamente: Alfredo venne agganciato con una fune, ma in seguito ad un movimento grossolano scivolò e l’imbragatura si spezzò. Il bambino cadde nel buco fino a 60m, ma stavolta a testa in giù.
Un altro operaio, calato finalmente alcuni metri sopra di lui, capisce che purtroppo il bimbo e morto. Le trivelle vennero spente e tutte le persone fatte allontanare.
Il cadavere fu recuperato da tre squadre di minatori della miniera di Gavorrano l’11 luglio seguente, ben 28 giorni dopo la morte del bambino.
È ormai accertato che nei soccorsi mancarono organizzazione e coordinamento. Ad esempio non fu mai transennata la zona intorno al pozzo, tanto che chiunque poteva avvicinarsi a esso e persino guardarvi dentro.
Di tutti gli errori e le manchevolezze la madre di Alfredino, Franca Rampi, parlò al Presidente Pertini, intervenuto sul luogo della tragedia, promuovendo di fatto la nascita della Protezione Civile, all’epoca ancora solo sulla carta.

FONTE: Misteri dal Mondo – Credere Per Vedere