Irena Sendler, la donna che metteva nelle bare i bambini

Giuro solennemente che non lo faccio più! Per una volta mi sono abbassato anche io ai mezzucci che sfruttano moltissime pagine online per attirare l’attenzione della gente mettendo titoli fuorvianti rispetto agli articoli. Perché l’ho fatto? Solo per dimostrare che un titolo che lascia pensare al macabro ( e al male in generale) spesso convinca la gente a leggere la notizia di più di un titolo positivo.
Irena Sendler in effetti non è stata una donna malvagia; anzi, esattamente il contrario: grazie a piccoli stratagemmi ha salvato moltissime vite umane e di questo l’intera umanità le dovrebbe essere grata in eterno.
Irena nacque il 15 febbraio del 1910 nella periferia di Varsavia, in Polonia. La sua famiglia era cattolica e praticante, nonostante il padre, un medico molto affermato, fosse dell’opinione che era la scienza a salvare le persone e non gli interventi divini. Proprio il padre di Irena segnò profondamente la sua vita e il suo credo: era un uomo generoso che, oltre al suo lavoro consueto, assisteva i malti di tifo nelle zone periferiche della città, dove i suoi colleghi si rifiutavano di andare perché davano alla vita un prezzo.
Infatti l’uomo forniva assistenza e cure gratuite a barboni, a famiglie in difficoltà economica e a gente che non poteva permettersi nessuna cura da parte dei medici e non si tirava mai indietro nemmeno quando c’era da andare in quartieri dove la malattia era diventate un’epidemia. Purtroppo il padre di Irena morì egli stesso di tifo quando lei aveva appena 7 anni, ma visse abbastanza a lungo da inculcarle l’amore per il prossimo e il desiderio di assistenza sociale.
Molti dei malati assistiti dal sottore erano ebrei e dopo la sua morte la comunità ebraica di Varsavia si accollò le spese degli studi di Irena come segno di gratitudine. La ragazza entrò in empatia con quella minoranza spesso emarginata, sfruttata e abusata dalla società di allora e proprio per questo negli anni universitari manifestò apertamente la sua opposizione alla ghettizzazione degli studenti ebrei. Il risultato fu una sospensione di 3 anni dall’Università di Varsavia, ma ciò non la fece desistere e riuscì a laurearsi brillantemente.
Dopo gli studi trovò lavoro come assistente sociale e nel 1939, allo scoppio della seconda guerra mondiale, Irena era un membro attivo nei servizi sociali della città.
L’invasione tedesca fu devastante per tutto il paese, ma la “caccia agli ebrei” iniziò proprio da Varsavia, dove la comunità ebraica era più numerosa. Irena Sendler, nonostante i divieti e le minacce dell’esercito tedesco, si prodigò nell’aiutare quanti più perseguitati possibile e, assieme a pochissimi collaboratori disposti a rischiare la loro vita, riuscì a procurare ai fuggiaschi oltre 3.000 passaporti falsi per permettere loro di scappare.
Divenne un’attivista delle resistenza polacca e assunse il nome di battaglia “Jolanta”. In particolar modo si occupò di trovare, riunire e salvare i bambini ebrei, ma le pattuglie dei tedeschi erano talmente serrate che dovette escogitare un metodo per portarli in salvo senza dare nell’occhio. Sfruttò allora la sua figura di assistente sociale per ottenne un permesso speciale ed entrare nel gruppo di ricercatori di malattie infettive: allora il tifo era una vera e propria piaga nei quartieri poveri e gli stessi tedeschi temevano il contagio e ne stavano ben lontani.
Con quell’espediente Irena fu una delle poche persone libere di muoversi per i quartieri di Varsavia senza essere sottoposta a controlli accurati; ciò le permise di entrare in contatto con molte famiglie ebree rifugiate e di convincere i genitori ad affidarle i bambini per dar loro una possibilità di sopravvivenza. I membri della Resistenza organizzarono la fuga dei bambini mettendo i neonati in casse alimentari e mediche e i bambini più grandi in sacchi di juta.
Irena riuscì anche ad addestrare il suo cane ad abbaiare quando arrivavano i tedeschi in modo da coprire i pianti disperati dei bambini e quando iniziò il genocidio fu costretta a inserirli in bare destinate ai malati pur di trarli in salvo. Grazie al furgone che le era stato concesso per recuperare i cadaveri degli ebrei da ammassare nei luoghi di raccolta della città, Irena riuscì a portare in salvo oltre 2.500 bambini e a far raggiungere loro la frontiera incolumi. Molti li prelevò dagli orfanotrofi e diede loro un’identità cristiana e poi li affidò a a famiglie e preti cattolici.
Il sogno di Irena era quello di restituire un giorno i bambini alle loro famiglie: per questo motivo annotò così i veri nomi dei bambini accanto a quelli falsi e seppellì gli elenchi dentro bottiglie e vasetti di marmellata sotto un albero del suo giardino.
Purtroppo però le attività della donna attirarono le attenzioni dei tedeschi e alla fine la Gestapo la catturò. Convinti che nascondesse gli ebrei in luoghi protetti, i tedeschi la torturarono e le spezzarono gambe e braccia, ma ottennero solo false indicazioni e non riuscirono nel loro intento di stanare gli ebrei fuggiaschi. Non ottenendo nulla di utile la condannarono a morte, ma Irena fu salvata dalla ZEGOTA, un’organizzazione polacca che corrompeva alcuni soldati tedeschi procurando loro cibo e donne.
Dichiarata morta dai tedeschi, ad Irena venne cambiata identità e proseguì nelle opere di salvataggio dei bambini fino alla fine della guerra, per poi recuperare i libri dove aveva annotato i nomi e dedicarsi alla restituzione dei piccoli alle loro famiglie. Purtroppo solo un piccolo numero potè ricongiungersi alla famiglia perchè la gran parte degli ebrei catturati erano stati sterminati nei lager.
La storia di Irena è stata portata alla luce nel 1999, quando un gruppo di studenti del Kansas l’ha presentata nello spettacolo “Life in a Jar” (La vita in un barattolo). Nel 2007 è stata proclamata eroe nazionale e ha ottenuto la nomination per il Nobel per la Pace; purtroppo le regole sono che per ricevere l’onorificenza è necessario aver effettuato una qualche attività meritoria nei due anni precedenti alla candidatura.
Irena Sendler è morta l’anno successivo all’età di 98 anni, lasciando un vuoto nella lista degli eroi del nostro tempo. Era solita dichiarare:
«Ogni bambino salvato con il mio aiuto è la giustificazione della mia esistenza su questa terra, e non un titolo di gloria. Avrei potuto fare di più e questo rimpianto non mi abbandonerà mai.»

FONTE: Misteri dal Mondo – Credere Per Vedere