Il rituale della mielificazione

Anno 1929. La scoperta della penicillina dello scozzese Alexander Fleming (che per essa vinse il premio Nobel per la medicina nel 1945) da inizio ad una serie esponenziale di progressi da parte della Medicina mondiale. Una scoperta piuttosto recente se la paragoniamo all’intera esistenza della specie umana.
Ma allora come si guarivano le persone prima della scoperta degli odierni medicinali? Beh, con tecniche spesso prive di fondamenti e di dubbia efficacia. Ce ne sarebbero davvero migliaia di cure inventate dall’uomo nel tentativo di curare fratture, malattie e dolori e molte di queste erano davvero bizzarre. Io qui vi parlerò di una medicina davvero singolare, che alcuni ritenevano davvero miracolosa, ma ottenibile solo a costo di una vita umana.
La “ricetta” di questa panacea assicurava la guarigione per tutti i mali e risale a circa 3000 anni fa e venne tramandata oralmente negli anni finchè il farmacologo e medico cinese Li Shizhen (1518-1593), nel suo enciclopedico trattato Bencao Gangmu (Compendio di materia medica) decise di lasciare ai posteri per iscritto questo antico rimedio.
Per ottenere questa medicina miracolosa c’era bisogno di un vecchio tra i 70 agli 80 anni di età, a cui restasse poco da vivere e che si proponesse volontariamente come “donatore” (così lo definiremmo oggi). L’uomo veniva nutrito esclusivamente con il miele, sempre e soltanto con il miele. Veniva immerso ogni giorno in vasche di miele e non poteva toccare terra o spostarsi se non avvolta da sete e panni che lo avessero interamente coperto.
Dopo circa un mese il corpo risultava completamente impregnato e purificato dalla dolce sostanza: anche le urine e le feci erano esclusivamente costituite da miele. Abitualmente, dopo questo periodo, il vecchio moriva. Veniva quindi posto in un’apposita bara di pietra e interamente ricoperto di miele. Sul coperchio della bara veniva apposta una targa con la data esatta della morte.
Così come oggi capita ai liquori di marca e agli aceti, il potentissimo rimedio doveva seguire una particolare stagionatura e un lungo periodo di riposo. Dopo cento anni, durante i quali il cadavere lentamente veniva macerato nel miele, i sigilli venivano tolti e la bara scoperchiata. La “confettura” a base di miele e resti umani veniva quindi posta nei barattoli, e venduta a peso d’oro. Andava spalmata sugli arti feriti o rotti (sembra che fosse un toccasana per le fratture). I medici del tempo poi credevano all’unanimità che il composto,se preso per via orale, guarisse immediatamente da ogni male.
Che questo composto fosse davvero curativo ci sono seri dubbi, anche perchè verso il 1700 venne abbandonata l’usanza di “mielificare” i corpi e quindi al giorno d’oggi non esistono campioni da poter analizzare.
Quello che è certo è che per migliaia di anni il miele è stato usato per curare le ferite, anche se è molto improbabile che si conoscesse il reale effetto della sostanza: solo recentemente, infatti, sono state chimicamente spiegate le sue proprietà antisettiche e antibatteriche.
Anche in Occidente, comunque, i corpi dei morti sono stati utilizzati come ingredienti farmaceutici: dal Medioevo fino al diciottesimo secolo era credenza comune che i preparati medicinali a base di polvere di mummia fossero particolarmente potenti, e nell’impero romano il sangue dei gladiatori morti veniva utilizzato come rimedio per l’epilessia. Queste convinzioni si possono collegare anche al vero e proprio cannibalismo, che si fonda spesso sull’idea di incorporare e assumere, assieme alla carne del defunto, anche le sue virtù e qualità.
La domanda che infine mi pongo è questa: cosa farebbe l’uomo nella disperazione di un male incurabile? Ricorrerebbe anche a metodi del genere nella speranza di guarire?

FONTE: Misteri dal Mondo – Credere Per Vedere