Eben Alexander

Eben Alexander (Charlotte, 11 dicembre 1953) è un neurochirurgo e scrittore statunitense. Per i medici era clinicamente morto. Poi riaprì gli occhi. Raccontando ciò che aveva visto nel tunnel.

Eben Alexander è un neurochirurgo americano di 59 anni che è diventato molto famoso soprattutto negli Stati Uniti, dopo aver pubblicato A Proof of Heaven (in Italia pubblicato quest’anno da Mondadori con il titolo Milioni di farfalle), un libro autobiografico in cui parla di un’esperienza “pre-morte” che Alexander avrebbe vissuto quando, a causa di una malattia che colpì il suo sistema nervoso, rimase in stato di coma per sette giorni, dal 10 al 17 novembre 2008. Il libro, nel quale Alexander afferma l’esistenza di un luogo «che è molto più che un paradiso», e in cui ciò che resta della persona si fonde con un’entità che lui chiama «Dio» in un contesto di amore e conoscenza totale, è uscito nel 2012 e da allora è sempre rimasto nella classifica dei best seller del New York Times.

Eben Alexander non avrebbe mai abboccato alla storia che oggi lui stesso racconta: «l’aldilà esiste ed io l’ho visto». Eben, neurochirurgo ad Harvard e figlio di neurochirurgo, ha sempre creduto nella scienza e nel progresso, nella tecnologia e nella conoscenza. Per anni è andato avanti così, dritto come un treno, certo della sua consapevolezza, ritenendo che esista una coscienza extracorporea e cita il testo Irreducible Mind: Toward a Psychology for the 21st Century, che considera “una rigorosa analisi scientifica che illustra in modo efficace la prova dell’esistenza di una coscienza extracorporea”.

Nel 2012 insieme al collega John R. Audette, fondò “Eternea”, associazione benefica no-profit a finanziamento pubblico, la cui missione è “promuovere la ricerca, l’istruzione e i corsi esperienziali di trasformazione spirituale, con particolare attenzione al rapporto fra coscienza e realtà fisica”. Fino a quando, un giorno, è entrato in coma e ha visto l’aldilà. Cristiano non praticante, Alexander ha scritto un libro intitolato «Proof of Heaven» («La prova del paradiso»), e ha raccontato tutto in un articolo di copertina di «Newsweek»: dopo aver contratto una rara forma di meningite batterica, è finito in coma per 7 giorni. Spiega, il dottor Eban «Quel particolare tipo di coma ha spento la parte umana del mio cervello, la neocorteccia. I batteri dell’E.coli erano entrati nel mio fluido cerebrospinale e stavano mangiando il mio cervello». Poi, il neurochirurgo lascia posto all’uomo e continua: «sono stato in un luogo incommensurabilmente più in alto delle nuvole, popolato di esseri trasparenti e scintillanti. L’esperienza che ho vissuto è stata così profonda che mi ha dato una ragione scientifica per credere che esista una coscienza dopo la morte». È questo che fa impressione. «Ragione scientifica». Non tanto il racconto, non nuovo nel suo genere, testimonianze, racconti, libri e film sono già stata abbondantemente prodotti sull’argomento. Ma mai prima d’ora a provare per poi credere è stato un neurochirurgo. Un paradosso che ha costretto i suoi colleghi ad inerpicarsi sù sù, per definizioni e confutazioni, a demolir ricordi e minimizzare sensazioni. A incalzarlo tantissime domande, quelle che lui stesso faceva al paziente di turno ritenuto un po’ svanito. Mancanza di ossigeno al cervello? Deliri farmacologici? Allucinazioni auto-indotte? No. Esperienza vissuta è la sua risposta ferma. Non si lascia convincere- questa volta- da ragionevoli dubbi e matematiche certezze. «Per quanto ne sappia, nessuno ha mai visitato questa dimensione parallela mentre la sua corteccia era completamente disattivata, e mentre il suo corpo era sottoposto ad attenta osservazione clinica, come il mio lo è stato durante i sette giorni di coma. Di solito, per spiegare i racconti di esperienze ai confini della morte, si dice che questi momenti sono i risultati di minimi, temporanei o parziali malfunzionamenti della corteccia». E risponde da medico. « Secondo la teoria scientifica attuale, in nessun caso avrei potuto essere anche minimamente cosciente nello stato in cui ero, figuriamoci se avessi potuto compiere un’odissea incredibilmente vivida e coerente come quella che ho vissuto». E ora chi se la sente di mettere in discussione la parola di un neurochirurgo?

«In quei giorni ho visitato un regno fatto di nuvole, entità superiori, mentre un vento divino mi diceva che ero amato e adorato, per sempre. Un lunghissimo viaggio, incalcolabilmente positivo». Oggi la vita del dottor Eban Alexander è cambiata radicalmente. In corsia incrocia sguardi di colleghi increduli che lo guardano con misto commiserazione. Le cose vanno molto meglio in chiesa, dove «vede tutto con occhi nuovi, sentendo di nuovo l’amore universale del suo viaggio attraverso le finestre di vetro colorato, le note basse dell’organo, i dipinti di Gesù». Ha un progetto: «Chiamare a raccolta gli altri scienziati per dipingere una nuova immagine della realtà, che è un universo in evoluzione e multidimensionale, con al centro un Dio onnisciente».

Nella comunità scientifica, non mancano le critiche all’articolo di Alexander, che racconta di aver «volato su ali di farfalla». Questo viaggio dal sapore esoterico deve essere considerato secondoi medici, esattamente come gli altri: racconti fantastici. Per i medici che a raccontarlo sia un neurochirurgo, non fa molta differenza. Loro restano della stessa opinione di sempre e non si lasciano impressionare. L’aldilà è frutto di immaginazione. E comunque non c’è prova. Come tutti, anche Alexander è condizionato involontariamente dall’immagine del paradiso che ci è stata dipinta da libri, quadri, immagini televisione, catechismi, musica sacra e profana. Insomma, nessuno cambia idea.