Johatsu: le persone “evaporate”

Avete mai sentito parlare dei “desaparecidos”? Oggi il significato è stato distorto e si crede che i desaparecidos siano tutte quelle persone che ogni anno spariscono senza lasciare traccia in America Latina. Il termine venne coniato per indicare quelle persone che negli ’70 e ’80 furono arrestate per motivi politici o che erano sospettate di compiere attività “anti governative” in Argentina, Cile e di altri paesi Sud America; “desaparecidos” vuol dire proprio “scomparsi” perché di quelle persone arrestate non si seppe più nulla.
A me per introdurre questo articolo interessa proprio il concetto di fondo: al mondo ogni anno scompaiono nel nulla migliaia di persone e di queste sono davvero poche quelle che vengono ritrovate, sia vive che morte. E allora dove finiscono tutte?
La maggior parte di quelli che spariscono contro il loro volere molto probabilmente viene uccisa o costretta alla schiavitù in luoghi da cui non è facile scappare; il fatto è che una stima del 2010 ha portato alla luce un dato davvero scioccante: il 71% delle persone che scompaiono nel mondo lo fanno per loro stessa volontà e di queste, come ho detto, sono pochissime quelle che vengono ritrovate. In Giappone si usa chiamare queste persone che si allontanano spontaneamente “johatsu”, letteralmente “gli evaporati”.
Una delusione d’amore, una situazione familiare opprimente, un guaio commesso, lo stress o semplicemente il desiderio di iniziare una nuova vita altrove: questo porta quasi 100.000 ogni anno a lasciare le proprie case per tagliare i ponti con tutti e far perdere le proprie tracce. In Giappone però il motivo ricorrente è molto più serio: nella maggior parte dei casi a sparire sono uomini e donne che non riescono a sopportare la vergogna di un fallimento personale, sia esso nella vita, in amore o sul lavoro.
Queste persone preferiscono sprofondare nell’anonimato diventando nomadi e vagando per il Giappone, spesso preferendo essere senzatetto per non affrontare il giudizio della famiglia o dei colleghi di lavoro. Le persone in questo caso non spariscono veramente, ma perdono la loro identità: assumono pseudonimi, vanno nei bassifondi delle città o nelle periferie più povere e iniziano a vivere alla giornata facendo lavoretti o accattonaggio.
Addirittura esistono vere e proprie città meta di questi “evaporati”: il quartiere di Sanya nei pressi di Tokio è uno di questi ed è diventato un sobborgo popolato quasi interamente di queste persone, che affittano (quando possono permetterselo) stanze di alberghi di quarta categoria nelle quali si rifugiano anche in 10 o 15 per camera e si lasciano lentamente inghiottire dalla vita dei bassifondi.
Per noi occidentali è difficile comprendere il motivo di queste scelte, ma dobbiamo ricordare che i giapponesi ancora oggi vivono in una società molto rigorosa, dove l’onore è un valore più grande della vita stessa e dove lo stacanovismo è una virtù ricercata e ostentata da tutti. Per loro l’idea di fallire di fronte alla famiglia o ai propri colleghi è un incubo che non permette loro di dormire la notte.
Analogamente agli immigrati che oggi accogliamo in Italia, i johatsu sono sfuggenti e non è facile fermarne uno per chiedergli chi sia; su di loro ha indagato una coppia di francesi, Léna Mauger e Stéphane Remael, che hanno voluto spiegarne i motivi e come queste persone vivono. Raccontano alcune di queste storie nel libro “The Vanished: The Evaporated People of Japan in Stories and Photographs”.
Secondo ciò che sono riusciti ad ottenere da queste persone, il fenomeno sembra essere iniziato negli anni ’60, quando l’espansione e il progresso giapponese erano talmente frenetici che nessun lavoratore poteva permettersi errori e doveva dimostrare un’efficienza al limite della perfezione. Oggi giorno la tendenza sta leggermente diminuendo, anche perchè lo stesso governo ha scelto di alleggerire sia il carico che le ore di lavoro; ciò però non ha arrestato il fenomeno, che ogni anno porta decine di migliaia di persone ad “evaporare” per non disonorare i propri cari.
E purtroppo a questo si aggiunge un altro fenomeno, ancora peggiore: dai dati raccolti nel 2014 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità in Giappone avvengono 60% di suicidi in più rispetto al resto del mondo.

Giusto per completezza: la parola Aokigahara vi dice qualcosa? Aokigahara è la “foresta dei suicidi” del Giappone; si trova ai piedi del Monte Fuji ed è il secondo luogo dopo il Golden Gate di San Francisco dove si verificano più suicidi al mondo. Ogni anno vengono ritrovati tra i 70 e i 150 cadaveri di persone che hanno scelto il suicidio al disonore e si sono lascati morire nei boschi di stenti. Pensate che fino ai primi anni ’50 era usanza per gli anziani che iniziavano ad avere i primi problemi fisici farsi portare ai bordi della foresta e lì salutavano i loro cari per poi inoltrarsi dentro Aokigahara: tutto questo per non pesare sulla famiglia.
Oggi i johatsu sono diventati quello che in epoca vittoriana erano i poveri ammassati nei bassifondi delle città inglesi; e c’è anche chi ci lucra sopra: dagli anni ’90 la tendenza è diventata così diffusa che sono nate delle vere e proprie compagnie che dietro pagamento garantiscono spostamenti, rifugi per i primi tempi e perfino simulazioni di rapimenti per permettere a chiunque voglia di “evaporare.”

FONTE: Misteri dal Mondo – Credere Per Vedere