miniera-di-san-joseL’incidente della miniera di San Josè

Molti ricorderanno questa vicenda accaduta nel 2010, che rimbalzò su tutti i giornali e TV del mondo.
La miniera di San Josè si trova in Cile a 45 km a nord della città di Copiapó ed è fonte di oro e rame, che su più livelli distendono i loro filoni nella roccia. E’ di proprietà della compagnia San Esteban che ha già avuto problemi in passato, l’ultima volta è stata nel 2007, quando un piccolo crollo causò la morte di un minatore.
Il 5 agosto del 2010 avvenne un crollo del tunnel principale mentre due gruppi di minatori erano all’opera al suo interno. Il gruppo nella parte alta vicino all’entrata riuscì ad uscire appena in tempo e senza incidenti, mentre il secondo, a 700 m di profondità, rimase intrappolato nel buio. La nuvola di polvere sollevata dal crollo accecò i minatori intrappolati per 6 ore e causò loro gravi irritazioni agli occhi.
I 33 minatori bloccati nel buio profondo della montagna fecero sapere di essere vivi con un biglietto lanciato in un condotto di areazione e nel corso delle settimane successive la loro storia fu raccontata dalla stampa di tutto il mondo. Il loro salvataggio, avvenuto 69 giorni dopo, fu seguito in diretta televisiva da circa un miliardo e mezzo di persone.
Il primo tentativo di soccorso iniziò il 7 agosto, proprio attraverso il condotto di ventilazione con cui i minatori comunicarono di essere ancora vivi, ma poco dopo l’accesso dei soccorritori anch’esso subì un crollo e gli stessi soccorritori dovettero essere tratti in salvo.
L’ 8 agosto iniziarono le perforazioni di fori di 12 cm di diametro con l’obiettivo di localizzare i minatori, ma solo la mattina del 22 ( 13 giorni dopo) i minatori vennero raggiunti. Il primo messaggio che mandarono in superficie grazie ad una sonda fu che stavano bene e si firmarono come “i 33”. Il ritrovamento venne annunciato ai mezzi di comunicazione dal presidente Sebastián Piñera in persona.
Nelle ore successive i minatori vennero ripresi da una videocamera calata nella miniera e il giorno dopo avvenne il primo contatto audio. Si erano rifugiati in una camera di emergenza di 50 m² che avevano isolato dalle gallerie circostanti a causa dei problemi di aerazione. Mangiavano una scatoletta di tonno e due bicchieri di latte ogni due giorni per poter razionare il cibo nella durata di un mese. Si stima che abbiano perso 10 kg ciascuno nelle prime tre settimane.
Tramite il foro di comunicazione vennero loro inviati integratori, medicinali e ossigeno; successivamente, appurato che il salvataggio avrebbe richiesto molto tempo, i minatori ricevettero anche cibo e oggetti per ingannare il tempo, come carte da gioco, domino, una bandiera cilena e statue di santi. Si mobilità anche la NASA che fornì al governo cileno alimenti speciali per astronauti e inviò sul posto due consiglieri esperti in condizioni di isolamento in costante comunicazione con i prigionieri della montagna.
Dopo la chiusura e la messa in sicurezza delle gallerie crollate la compagnia cilena Enap diede inizio alle operazioni di trivellazione di un tunnel largo a sufficienza per il trasporto degli uomini. La previsione dell’operazione di salvataggio fu di 4 mesi e quando venne comunicata ai 33 minatori li fece cadere in un profondo stato di depressione. A questo si sommarono alcuni problemi tecnici, come quello del 12 settembre, quando una delle tre trivellatrici impegnate nello scavo del tunnel si destabilizzò e si ribaltò frantumandosi sulle rocce a 270 m di quota. Per fortuna non compromise il foro e le operazioni ripresero.
Il 17 settembre il responsabile della squadra di soccorso informò il mondo che la perforazione del foro si salvataggio aveva raggiunto la profondità a cui erano intrappolati i minatori, ma il foro doveva essere allargato fino 60 cm necessari per il passaggio dell’ascensore.
Il 12 ottobre 2010, alle ore 04.30 circa (ora italiana), la capsula Fenix fece il primo viaggio di andata con l’obiettivo di risalire con al suo interno Florencio Avalos, il primo dei minatori ad essere salvato. Alle ore 5.10 Florencio Avalos uscì da quell’inferno.
33 minatori, tutti cileni tranne il boliviano Carlos Mamani, vennero tratti in salvo dopo 69 giorni rinchiusi nei sotterranei della miniera di San josè.
Pochi minuti dopo il salvataggio di tutti minatori il presidente Sebastian Pinera promise di fronte alla stampa che i responsabili del disastro sarebbero stati portati davanti alla giustizia. Non ci fu però alcun procedimento penale e gli avvocati dei due proprietari annunciarono soddisfatti che l’archiviazione era «una chiara dimostrazione che non c’è stato alcun reato».
Nemmeno la causa civile tentata a carico del Servizio nazionale di geologia e miniere (Sernageomín) ha avuto ad oggi la giusta conclusione: le famiglie dei minatori presentarono una richiesta di risarcimento di 540.000 dollari, corrispondenti a 380.000 euro ciascuno, ma è ancora in corso e non si sa se il rimborso arriverà.
I pochi soldi che ricevettero giunsero per i diritti cinematografici di un film girato nel 2015 (intitolato “The 33” e che pagò i minatori 13.000 dollari a testa) e da un milionario cileno che donò loro 10.000 dollari ciascuno.
Nonostante la loro brutta avventura sia finita nel migliore dei modi i loro incubi continuano: molti di loro sono ancora disoccupati perchè molti datori di lavoro hanno timore di assumerli. La motivazione? Uno dei sopravvissuti, Omar Reygadas, ha spiegato:
« Perchè pensano che al primo problema richiameremmo l’attenzione dei media…».

FONTE: Misteri dal Mondo – Credere Per Vedere