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Michelle Funk, la bambina del fiume ghiacciato

Ogni anno più di 8.000 persone annegano negli Stati Uniti e si stima più di 80.000 incidenti legati al freddo e all’acqua. Sono davvero troppi i casi in cui laghi e fiumi diventano scenario di morte e soprattutto in inverno il gelo dei paesi del nord aggiunge anche il problema del freddo che molti sfidano pattinando su acque ghiacciate senza misure di sicurezza solo per l’emozione di infrangere qualche regola. Ne risulta che almeno la metà di quegli 8.000 morti per annegamento muore per duplice effetto dell’acqua e del freddo.
Questo è uno di quei casi in cui addirittura il “Journal of American Medical Association”, una rivista medica molto affermata, ha descritto come un miracolo, un caso su un milione che però ha permesso ad una bambina di sopravvivere alla sbadataggine dei suoi genitori.
Il 10 giugno del 1986 la piccola Michelle Funk, di soli 2 anni e mezzo, passeggiava con il suo fratello maggiore lungo un sentiero a poca distanza da casa a pochi chilometri da Salt Lake City. I due bambini erano sorvegliati dalla mamma, che però era intenta nelle faccende domestiche e di tanto in tanto rientrava in casa per le consuetudini giornaliere.
Il torrente Bell Canyon Creek che fiancheggiava la strada era ingrossato dal deflusso dalla neve invernale e vicino alla casa dei Funk l’acqua era molto alta, anche se il freddo pungente aveva quasi gelato la superficie e il flusso era molto lento. La dinamica dell’incidente non è mai stata chiara: c’è chi pensa che sia stato il fratello di 8 anni a spingerla in acqua, chi pensa sia semplicemente scivolata; in ogni caso la madre vide tornare a casa di corsa il figlio che le disse che Michelle era caduta in acqua.
Il padre era al lavoro e la madre, dopo aver invano cercato lungo la sponda del torrente, si precipitò a casa a chiamare il 911. L’intervento fu immediato ed entro 8 minuti c’era già una squadra di ricercatori all’opera, ma delle bambina non c’era traccia.
L’idea la ebbe un funzionario che usò le chiusure del torrente per deviare l’acqua e far abbassare la portata nei pressi della casa, ma ci vollero bene 66 minuti prima che un sub ritrovasse la bambina. La temperatura dell’acqua era sotto i 4 ° C e il corpo di Michelle venne trovato senza vita e quasi completamente congelato.
Michelle venne data per morta, ma per prassi venne inviata all’ospedale pediatrico di Salt Lake City. I medici che la visitarono dissero che il corpo era viola e che la temperatura del corpo era di appena 19 °C ( sotto i 22 °C sopraggiunge la morte per ipotermia); le sue pupille erano fisse e molto dilatate, non c’era polso e non respirava. Incredibilmente al pronto soccorso riuscirono a rimettere in moto il cuore e la bambina iniziò a reagire con un lieve battito.
Considerando che il 99% dei casi di morte per ipotermia avviene per la dispersione del calore corporeo nei primi 20 minuti di immersione, il fatto che una bambina così piccola avesse resistito per 66 minuti nell’acqua ghiacciata fece subito gridare al miracolo. I problemi però erano tutt’altro che risolti: si temeva che lo shock avesse causato danni cerebrali gravi e che fosse necessario amputare gli altri che nel mentre erano diventati di colore nero. Ai genitori della piccola Michelle venne detto che aveva meno del 10% di possibilità di sopravvivere e che in ogni caso non sarebbe più stata la stessa.
A salvarla fu l’immediata applicazione di un macchinario che scaldò il sangue di Michelle in modo da far riprendere una corretta circolazione e l’irroramento dei principali organi e del cervello. La tecnica, chiamata, “rewarming extra-corporea”, comporta il pompaggio di sangue riscaldato tra cuore e polmoni ed è spesso utilizzata nella chirurgia a cuore aperto.
Tre ore dopo il ricovero della piccola Michelle la bambina non dava ancora segni di vita, ma il dottor Bolte, al contrario del resto dell’equipe che era d’accordo sul dichiararla in coma irreversibile, decise di accelerare il rewarming del sangue operandola ed inserire i tubicini del macchinario direttamente nei principali vasi sanguigni della bambina. Lentamente la temperatura corporea iniziò a salire. Quando raggiunse i 25 ° C la bambina storse la bocca e pochi istanti dopo aprì gli occhi.
Pochi minuti dopo le sue pupille iniziarono a reagire alle luci della sala operatoria, dando così segno del ritorno delle funzioni cerebrali. Poi fu il turno del battito cardiaco che divenne sempre più forte e costante.
Per Michelle si mobilitarono tutti migliori dottori dello stato e nei giorni seguenti Michele più volte rischiò la morte, ma incredibilmente la bambina iniziò a fare progressi enormi e due settimane dopo la bambina sorrise nel vedere i suoi genitori nella stanza d’ospedale. Due mesi dopo l’incidente la bambina poteva sedersi per alcuni minuti e riusciva a gattonare per qualche secondo. Al suo terzo compleanno le sue capacità motorie erano normali, ad eccezione di un lieve tremore nelle sue mani, che poi scomparve nel tempo.
All’età di 5 anni Michelle Funk era una bambina normale e non mostrava segni della sua esperienza traumatica: era luminosa, vivace e cresceva come ogni altro bambino della sua età. L’intervento immediato riuscì a salvarle anche le estremità e non ci fu il caso di amputare nemmeno le dita, ma ancora oggi ci si chiede come sia stato possibile un miracolo del genere.
Michelle Funk ancora oggi è uno dei casi più misteriosi di congelamento senza conseguenze accaduto ad una persona e se pensiamo che a subirlo fu una bambina di 2 anni e mezzo è proprio il caso di chiamarlo “miracolo”.