Shoyna, il villaggio sepolto dalla sabbia

Una delle mie fobie è quelle di essere seppellito vivo, e non parlo solo di un’errata diagnosi di morte, ma anche quella di andare un giorno in montagna e trovarmi la mattina sotto metri di neve in seguito ad una valanga o a una nevicata fuori dal comune.
Credevo che fosse una paura infondata, ma fino ad un ventina di anni fa da me nevicava anche oltre il metro e mezzo e una cosa del genere mi è quasi capitata. Posso immaginare, quindi, come si possa sentire la gente del villaggio russo di Shoyna che periodicamente rischia di essere sepolta viva sotto tonnellate di sabbia.
Shoyna si trova nel nord della Russia, ai margini del circolo polare artico, ed è considerata la zona di deserto più settentrionale del mondo perchè qui ci sono dune di sabbie che si estendono per decine chilometri lungo la costa del Mar Bianco. L’insediamento è molto piccolo e conta meno di 300 anime che vivono in situazioni davvero estreme: i venti che giungono dal mare sono spesso intensi e durano diverse ore; ciò provoca lo spostamento della sabbia che va ad accumularsi sul centro abitato in maniera massiccia al punto che gli abitanti sono costretti a continui interventi per sbloccare le strade, le finestre e gli ingressi. Se infatti si lasciasse accumulare la sabbia per qualche giorno questa impedirebbe ogni via di accesso e non permetterebbe nemmeno agli abitanti di uscire di casa.
E questa è la situazione “normale”: ci sono periodi dell’anno in cui le correnti che giungono da nord sono talmente intense da allarmare gli abitanti perché più volte, dopo una notte di vento, si sono trovati letteralmente seppelliti dalla sabbia e persino passando con un elicottero tutto ciò che si scorgeva del villaggio erano solo parte dei tetti.
Per gli abitanti di Shoyna è una continua lotta ad armi impari contro le dune che avanzano implacabili verso le loro case e ciò ha portato negli ultimi decenni ad un rapido spopolamento: rimuovere la sabbia che si accumula attorno alle case è un lavoro che impegna tutti al villaggio e toglie tempo alla loro unica attività di profitto, ovvero la pesca.
I primi ad insediarsi al villaggio giunsero nel 1930 e fino al 1950 l’attività dei pescatori attirò moltissima gente, raggiungendo oltre 1.500 abitanti e più di 70 pescherecci. Con il tempo la pesca intensiva a strascico ha ridotto di molto la fauna ittica, rendendo i guadagni sempre meno ingenti; questo, oltre al pericolo della sabbia in movimento continuo, ha fatto migrare l’attività altrove e oggi i pochi rimasti vivono di sussidi di disoccupazione o di pensioni sociali.
Da un recente studio effettuato dall’architetto norvegese Jan Gunnar Skjeldsøy è emerso che la sabbia che oggi affligge Shoyna è in gran parte una conseguenza diretta dell’attività scellerata dell’uomo: l’attività di pesca a strascico ha distrutto e alterato l’ecosistema marino raschiando il fondo del mare e rendendolo sterile; inevitabilmente le maree hanno portato a rive molta più sabbia del normale che poi i venti ha accumulato in dune alte oltre 5 m che oggi sparge in lungo e in largo sulla costa. La sabbia ha iniziato a seppellire il villaggio dagli anni ’90, isolandolo sempre più dagli altri centri abitati e costringendo i residenti a scappare altrove per la paure di morire seppelliti.
Shoyna oggi è un insediamento al limite del vivibile, ma le 300 persone che rimangano lì sono molto orgogliosi della loro strenua resistenza contro una forza della natura che pare inarrestabile.

FONTE: Misteri dal Mondo – Credere Per Vedere