L’arbitro mutilato e ucciso in campo

Già da qualche tempo tratto casi di criminologia efferati o bizzarri e documentandomi sui peggiori uomini mai esistiti sto giungendo pian piano alla conclusone che i mostri, quelli cattivi, abbiano sembianze umane. I motivi per cui una persona ne uccide un’altra sono davvero moltissimi, ma il più delle volte sono talmente futili che se certi casi non fossero documentati crederemmo che siano inventati da una mente deviata.
Anche se volessi non potrei ridimensionare la gravità di questa vicenda, nemmeno spiegando come sia la vita in Brasile nelle periferie delle città, dove si vive alla giornata e la violenza è una pratica talmente comune che non ci si fa quasi più caso. Ciò che purtroppo fa riflettere sono le reazioni delle forze dell’ordine e il fatto che la vicenda sia stata velocemente insabbiata dai media in vista dei mondiali che da lì a un anno sarebbero iniziati.
Ironia della sorte, parliamo di una partita di calcio, lo sport per eccellenza in Brasile, una delle poche opportunità in cui si possono vedere ceti sociali diversi avvicinarsi per uno scopo comune. Le partite di calcio in Brasile sono solitamente precedute o seguite da feste, cortei, balli e celebrazioni, ma il 30 giugno del 2013 una partita amatoriale sfociò nella follia pura, con due omicidi e diversi feriti.
Non sto parlando di una partita di qualificazione ai mondiali o dove circolano milioni di dollari, ma di due squadre dilettanti che si incontrarono a Pio XII nello stato del Maranhão, nel nord-est del Brasile.
L’arbitro era Otávio Jordão da Silva Cantanhede, un 20enne da poco inserito tra i direttori di gara professionisti. Probabilmente Otávio venne avvisato che le due fazioni di tifosi erano un po’ ostiche e molto aggressive (sportivamente si intende), perché il ragazzo per difesa personale preferì portarsi dietro un coltello a scatto: nelle zone povere brasiliane è ancora oggi consueto armarsi, anche per una partita di calcio, perché capita che le tifoserie obblighino arbitro e guardalinee (a volte intere squadre) a scappare dal retro degli spogliatoi o verso l’uscita più vicina.
Ad ogni modo la partita sembrava tutto sommato andare per il meglio, fino ad un fallo piuttosto grave del giocatore 31enne Josemir Santos Abreu. Otávio, che fino ad allora non aveva avuto grandi difficoltà a dirigere l’incontro, scelse di espellere il giocatore e di mandarlo negli spogliatoi.
Ora potremmo stare qui a disquisire se l’espulsone fosse giusta o meno, ma sta di fatto che Abreu non gradì affatto la sanzione e si rifiutò di uscire dal campo. Ne nacquero discussioni, le due panchine iniziarono ad insultarsi, le tifoserie si accesero… e l’arbitro preferì ribadire al giocatore di uscire e di permettere di riprendere la partita. Per tutta risposta Abreu iniziò a spintonare Otávio fino a farlo cadere rovinosamente a terra. L’atteggiamento del giocatore spaventò il ragazzo fino a fargli prendere la decisione più sbagliata della sua vita: prese dalla tasca il suo coltello e pugnalò due volte Abreu al petto. Il giocatore cadde a terra e da quel momento iniziò il panico: intervennero i soccorsi, ma Abreu morì pochi minuti dopo, ancora prima che l’ambulanza partisse per l’ospedale; sugli spalti i molti amici del giocatore iniziarono a scendere in campo e iniziò l’inseguimento dell’arbitro, che non ebbe il tempo di mettersi al riparo negli spogliatoi.
Válter Costa dos Santos, commissario delegato di Santa Inês, scese di persona in campo per tentare sedare gli animi, ma quando vide che la situazione era inarrestabile fece l’unica cosa intelligente da fare in quel momento: chiamò la polizia.
Decine di spettatori acciuffarono Otávio Jordão da Silva Cantanhede e si fecero giustizia da soli: legarono il ragazzo, lo picchiarono con pezzi di legno e oggetti a caso presi dalle tribune e poi uno di loro, il 27enne Luís Moraes Souza, con una bottiglia rotta lo sfregiò in viso. Un altro tifoso lo pugnalò la petto e da quel momento Souza iniziò a fare scempio del suo corpo pugnalandolo e squartandolo. Gli amici di Abreu non placarono la loro rabbia nemmeno quando l’arbitro morì: il fratello di Luis, Francisco Moraes Souza, tagliò la testa, le gambe e le braccia all’arbitro a colpi di falce (sì, si erano portati una falce ad un partita di calcio…) e la testa di Otávio venne inchiodata ad un palo della rete di recinzione.
La storia finisce praticamente qui: il caso era agghiacciante e le autorità chiusero la questione in fretta e furia annunciando di aver arrestato Luís Moraes Souza e che era stato emesso un ordine di cattura per altre due persone; dopo quelle informazioni si seppe poco e nulla e perfino i giornali più “liberi” non tornarono più sulla questione. In ballo c’erano i mondiali di calcio del Brasile del 2014 e tutta la nazione rischiava di perdere milioni di dollari di incassi. Ciò che si seppe fu che gli accusati erano semplici contadini e non parenti di Abreu.
C’è chi con l’avvicinarsi dei mondiali ha voluto nuovamente sminuire la questione della sicurezza quando venne riportata a galla dai media: si è detto che quella è una regione molto povera, nota per la sua violenza, si è detto che nelle favelas fra le bande rivali accadono episodi del genere, ma che quello era un episodio isolato e le autorità avrebbero provveduto ai massimi livelli di sicurezza per giocatori e tifosi in ogni città del Brasile.

FONTE: Misteri dal Mondo – Credere Per Vedere