Jennifer ZacconiJennifer Zacconi, fu sepolta viva dall’amante quando era incinta di nove mesi. L’assassino era nullatenente e la famiglia, primo caso italiano, è stata risarcita dallo Stato

Si chiama Jennifer Zacconi e vive a Olmo di Martellago, Venezia. Il mese successivo deve compiere ventuno anni. È incinta ed è quasi giunta al termine della gravidanza. Ha deciso che il bimbo lo chiamerà Hevan, con l’acca davanti per rendergli unico il nome. In casa ha già preparato tutto: cameretta, corredo, le cose tipiche che si preparano in attesa di una nascita. Ma la casa in cui vive è quella della mamma, separata, e del cugino, che sta con loro fin da piccolo.

Il compagno di Jennifer infatti non vuole saperne di avere un altro figlio. Perché lui, Lucio Niero, sedici anni in più, è già padre e, cosa che Jennifer ignora, è ancora sposato. A lei infatti ha detto di essere separato da tempo. A dirla tutta, nessuno ha avuto dubbi in merito: racconterà la madre di Jennifer, Anna Maria Giannone, che Niero usciva con loro, aveva aiutato la famiglia nel trasloco, andava lì a pranzo. Nulla che facesse pensare ad una doppia vita. C’è stato insomma un clima di grande affetto, fino a quando Jennifer è rimasta incinta.

Da allora lui è cambiato, infuriandosi più volte perché laragazza non voleva abortire. Nei giorni precedenti Niero ha telefonato due volte a Jennifer, chiedendole di incontrarsi a cento metri da casa. Ma la mamma l’ha convinta a desistere, per evitare altre discussioni.

Quattro giorni prima di partorire, il 29 aprile 2006, Jennifer sta giocando col cugino piccolo, che si appoggia al suo pancione con una macchinina. L’aria è spensierata e si è fatta sera quando riceve un’altra telefonata da Niero. Vuole vederla. Ma deve averlo detto in maniera molto amorevole. Perché stavolta lei appare radiosa, tanto che la mamma non obietta nulla, pensando che, forse, l’uomo si è davvero convinto a tornare sui suoi passi. La ragazza saluta tutti, prende un mazzo di caramelle ed esce di casa con dieci euro in tasca.

Le ore passano e cominciano ad essere troppe. A mezzanotte e venti Anna Maria Giannone riceve una telefonata da Niero che, fingendo di aver sbagliato numero, già che c’è chiede alla donna se Jennifer sia lì con lei. È già chiaro che qualcosa non va, perché Jennifer dovrebbe trovarsi invece proprio con lui. La madre inizia a chiamare il mondo intero, preoccupatissima, finchè non le giunge dal cellulare della figliaun sms in cui Jennifer scrive che sta bene e che sta andando al casinò di Nuova Gorica con un’amica.

Il segnale inequivocabile che certamente le è successo qualcosa: una ragazza incinta di nove mesi, con dieci euro in tasca e una carta d’identità scaduta, non pensa sicuramente ad andare ad un casinò all’estero.

La verità emerge una settimana più tardi, quando Niero viene arrestato a Milano: la sera della scomparsa l’uomo, un uomo di cento chili di oltre un metro e novanta, ha massacrato a calci e pugni Jennifer, una ragazza di cinquanta chili con suo figlio nella pancia. Le ha fratturato tre costole. Quindi l’ha seppellita viva in una buca, saltandoci sopra.

Impossibile immaginare qualcosa di più atroce. Al processo, celebrato con rito abbreviato, non viene chiesto il sequestro cautelativo dei beni dell’assassino. Niero fa in tempo a divorziare. Risulta nullatenente. La sentenza mette i brividi: 30 anni. E questo perché l’assassino viene condannato solo per la morte di Jennifer. Hevan, che doveva nascere quattro giorni più tardi, è considerato “tecnicamente” un procurato aborto, reato che prevede pene assai meno gravi. Anche se tutti sanno che i bambini possono nascere anche due settimane prima del termine, e oltre, senza avere alcuna necessità di incubatrici per portarli alla completa “maturazione”.

Niero, ricorderà la madre di Jennifer, non scriverà mai nemmeno una riga di scuse. La donna dirà di non aver sentito nemmeno alcuno della sua famiglia. Nel 2013 Anna Maria Giannone diventa la prima persona italiana ad essere risarcita, per sentenza, come vittima di reati violenti, secondo una direttiva del 2004 che il nostro Paese non ha mai rispettato, proprio perché l’assassino risultava nullatenente ed incapace dunque di pagare i danni. Il giudice stabilisce la cifra in 80mila euro, l’equivalente della provvisionale, una cifra modesta.

FONTE: http://www.gqitalia.it