Ted BundyTed Bundy, il male della porta accanto

Theodore Robert Bundy (Burlington, 24 novembre 1946 – Starke, 24 gennaio 1989) è stato un serial killer statunitense, autore di almeno 30-35 omicidi ai danni di giovani donne negli Stati Uniti tra il 1974 e il 1978; potrebbe avere colpito anche prima, a partire dagli anni Sessanta.

Bundy è ricordato come un uomo affascinante, tratto che sfruttava per conquistare la fiducia delle sue vittime. Era solito attirare la loro attenzione fingendo di essere disabile o in difficoltà, oppure impersonando una figura autoritaria, per poi aggredirle e stuprarle in luoghi appartati. Talvolta ritornava sulla scena del crimine per avere rapporti sessuali con i cadaveri in decomposizione, almeno finché la putrefazione non era tale da rendere questi atti impraticabili. Ha decapitato almeno 12 vittime, conservandone la testa nel suo appartamento come trofeo. In alcune occasioni ha semplicemente fatto irruzione nelle abitazioni delle vittime bastonandole mentre dormivano.

Fu inizialmente incarcerato nello Utah nel 1975 per sequestro di persona con tentata aggressione, e successivamente fu sospettato di diversi altri omicidi irrisolti in molti altri stati americani. Di fronte alle accuse di omicidio in Colorado, progettò due fughe per poi compiere altre aggressioni, tra cui tre omicidi, finché non fu nuovamente catturato in Florida nel 1978. Ricevette tre condanne a morte in due processi separati per gli omicidi in Florida.

Morì sulla sedia elettrica il 24 gennaio 1989 alla Raiford Prison di Starke, Florida.

La sua biografa e conoscente personale Ann Rule lo ha descritto come “un sadico sociopatico che traeva piacere dal dolore altrui e dal senso di potere che provava verso le sue vittime, sia quando stavano per morire, che dopo”. Si è definito “… il più gelido figlio di puttana che incontrerai mai”. Il procuratore Polly Nelson, uno dei membri che aveva il compito di difenderlo in tribunale, scrisse che “era la precisa definizione del male”.

Bundy nacque a Burlington il 24 novembre 1946 da Eleanor Louise Cowell nell’ospedale Elizabeth Lund Home For Unwed Mothers (ora chiamato Lund Family Center). L’identità del padre non fu mai determinata con certezza. Il suo certificato di nascita attribuì la paternità a un venditore e veterano dell’Air Force di nome Lloyd Marshall, sebbene la madre avesse poi sostenuto che il padre fosse “un marinaio” di nome Jack Worthington. Gli investigatori non riuscirono a trovare nessuno che rispondesse a questo nome negli archivi della marina. Inoltre alcuni familiari sospettavano che potesse essere stato il padre stesso di Louise, Samuel Cowell, ad aver violentato la figlia, ma non è stato possibile raccogliere alcuna prova di questa tesi.

Per i primi tre anni di vita Bundy visse a Philadelphia con i nonni materni, Samuel ed Eleanor Cowell, che lo crebbero come figlio proprio per evitare la stigmatizzazione sociale che si ripercuote sui figli illegittimi. Alla famiglia, agli amici e al piccolo Ted Bundy fu sempre detto che i genitori erano i suoi nonni biologici, mentre la madre era sua sorella maggiore. Cresciuto (l’età è imprecisata) venne a sapere la verità: disse alla sua fidanzata dell’epoca che suo cugino gli aveva mostrato Stephen Michaud e Hugh Aynesworth disse invece di aver trovato il certificato da sé. Ann Rule, sua biografa e scrittrice specializzata in crimini nonché sua conoscente personale, è dell’opinione che Bundy abbia trovato il suo certificato di nascita originale nel 1969 in Vermont.

Per tutta la vita Bundy espresse risentimento verso la madre per avergli mentito così a lungo, lasciandolo scoprire la verità da solo. Mentre Ted Bundy durante le interviste parlò sempre dei suoi nonni con affetto dicendo ad Ann Rule che “si identificava” con il nonno e che provava “rispetto” e “attaccamento” nei suoi confronti, dalle dichiarazioni dei membri della famiglia fatte ai procuratori legali emerse un ritratto negativo di Samuel Cowell: un tiranno bigotto razzista antisemita e anti-cattolico che si mostrava violento nei confronti della moglie, del cane di famiglia e dei gatti del quartiere. Più di una volta la sua rabbia sconfinò nella violenza, soprattutto quando la questione della paternità di Ted Bundy veniva sollevata. Una volta scaraventò Julia, la sorella minore di Louise, giù dalle scale; inoltre spesso si rivolgeva ad alta voce a “invisibili presenze”.

Dai racconti di Ted Bundy emerge una nonna timida e obbediente che periodicamente si sottoponeva a sedute di terapia elettroconvulsivante per combattere la depressione di cui soffriva. Nella fase finale della sua vita inoltre non usciva più di casa. Anche da bambino Ted mostrava comportamenti inquietanti: Julia racconta che un giorno si svegliò circondata da coltelli da cucina mentre Ted, di soli tre anni, se ne stava in piedi vicino al letto guardandola con un sorriso.

Nel 1950 Louise cambiò il suo cognome da Cowell a Nelson ed eliminando il suo primo nome Eleanor[ per poi lasciare, incitata da diversi familiari, Philadelphia con Ted e andare a vivere dai suoi cugini Alan e Jane Scott a Tacoma nello Stato del Washington. Nel 1951 Louise conobbe a un incontro per single della chiesa metodista di Tacoma, Johnny Culpepper Bundy, un cuoco che lavorava in un ospedale. Lo stesso anno si sposarono e Johnny Bundy adottò ufficialmente Ted Successivamente Johnny e Louise concepirono altri quattro figli e, sebbene Johnny tentasse di far sentire accolto anche il figlio adottato includendolo nelle attività di famiglia o nelle gite in campeggio, Ted rimase distante nei suoi confronti. Più tardi si lamentò con la sua ragazza dell’epoca di come Johnny non fosse il suo vero padre e di come “non fosse molto brillante” e neanche tanto ricco finanziariamente.

Le vicende che riguardano la vita di Ted Bundy a Tacoma non sono sempre coerenti tra le varie biografie. Stephen Michaud e Hugh Aynesworth riportano che Bundy dichiarò che aveva l’abitudine di vagabondare per il quartiere e frugare tra la spazzatura alla ricerca di fotografie pornografiche. A Polly Nelson racconta di come fosse interessato alla riviste pulp, ai romanzi polizieschi e ai documentari di cronaca nera che riguardavano violenze sessuali, in particolare se erano illustrati con immagini di corpi morti o mutilati. In una lettera ad Ann Rule dichiara invece che al solo pensiero di leggere questo genere di fiction avrebbe rabbrividito. A Stephen Michaud descrisse le sue serate da ubriaco in cerca di finestre non coperte dalle tende da cui poteva spiare donne svestite o “qualsiasi altra cosa potesse essere vista”.

L’adolescenza lo cambiò, divenne un bullo egli stesso, commettendo vari furti. Successivamente fu attratto dallo studio, dalla politica e dallo sci, isolandosi dalla comunità. Bundy rimase disoccupato poiché non si impegnava nei suoi saltuari lavori. Nel 1964 trovò una donna di buona famiglia, Stephanie Brooks, con cui provò a legarsi. La ragazza, dopo essersi laureata, troncò ogni rapporto, causandogli uno shock dal quale non si riprese. In quel periodo egli scoprì le sue origini e questo aggravò molto una situazione già precaria: quella che riteneva sua sorella in realtà era sua madre e ciò provocò in Bundy un trauma, secondo molti la molla finale che lo spinse ad uccidere.

Il periodo di depressione cominciò a placarsi nel 1969, quando decise di iscriversi nuovamente all’università, in cui seguì corsi di psicologia e legge. Poco tempo dopo prese la tessera del Partito Repubblicano – diventandone una giovane promessa – e cominciò una relazione con la giovane Elizabeth Kendall: è in questo periodo che Ted incontra Ann Rule, una donna che segnò la sua vita, diventandone amica e confidente, totalmente all’oscuro della sua doppia vita; tale esperienza venne descritta dalla Rule nel libro Un estraneo al mio fianco. Incontrò anche Meg Anders, una donna divorziata con la quale iniziò una relazione e fu indicato come “eroe” per aver salvato una bambina che stava annegando in un parco.

Il primo tentato omicidio avviene il 4 gennaio 1974: la vittima si chiamava Joni Lenz, 18 anni, picchiata nel suo letto con una spranga di legno e con quest’ultima violentata. La giovane riuscirà a salvarsi riportando gravi lesioni, ma sarà solo una delle poche ragazze che si salveranno dalla furia violenta di Ted. Il 5 gennaio del 1974 i coinquilini della diciottenne Joni Lenz entrano nel suo appartamento, insospettiti dal fatto che la ragazza non si era fatta sentire per più di 24 ore. La trovano nella camera da letto, sanguinante e con profondi segni di violenza. La giovane ragazza era stata malmenata da Ted Bundy e violentata con una doga del suo letto che l’assassino le aveva infilato nella vagina. La vittima, portata in ospedale, uscirà dal coma.

Un mese dopo scompare Lynda Ann Healy, rapita dalla sua casa, seguita da almeno altre 5 ragazze. Il 17 giugno 1974 viene ritrovato il corpo di Brenda Carol Ball e due mesi dopo sono stati trovati i resti di due ragazze scomparse il 14 luglio dal lago Shammanish, Janice Ott e Denise Naslund. Spunta fuori un testimone, una ragazza di nome Janice Graham, che raccontò alla polizia di come fosse stata adescata da un giovane ragazzo di nome Ted, che andava in giro con un braccio ingessato e che le aveva chiesto aiuto per caricare una barca a vela sul tetto della sua auto. Arrivata all’auto la ragazza era stata invitata a salire a bordo del veicolo perché la barca non si trovava lì, ma in un luogo più appartato, ma Janice rifiutò l’offerta, e senza saperlo evitò una morte orribile. L’identikitdi “Ted” appare su tutti i giornali e diverse persone fanno il nome di Bundy, tra queste vi sono Ann Rule e Meg Anders, ma prima che la polizia si possa muovere Bundy lascia Seattle e si trasferisce nello Utah.

Il 18 ottobre 1974 scompare la diciottenne Melissa Smith, ritrovata il 27 vicino a Salt Lake City, mutilata e sodomizzata. Il 31 ottobre scompare Laura Aime, ritrovata il giorno del Ringraziamento, picchiata, sodomizzata e strangolata. L’8 novembre Bundy compie il primo passo falso, tentando di rapire Carol Da Ronch spacciandosi per un poliziotto e riuscendo a farla salire sulla sua Volkswagen Maggiolino, ma all’interno la ragazza riesce a scappare dopo una violenta colluttazione. Poche ore dopo scompare Debbie Kent, che non viene più ritrovata. Spunta una altro testimone, un’insegnante di nome Raelynn Shepard, che racconta di come fosse stata avvicinata da un uomo che si era finto un poliziotto, ma che lei non aveva seguito.

Bundy si sposta in Colorado, dove scompaiono almeno quattro donne tra gennaio e aprile 1975. La buona sorte aiuta gli investigatori il 16 agosto dello stesso anno, quando il poliziotto Bob Haywood ferma una Volkswagen Maggiolino che correva troppo; è l’auto di Bundy, dove vengono trovati una spranga, un passamontagna, un rompighiaccio e delle manette. Bundy viene arrestato e, dopo esser stato riconosciuto da Raelynn Shepard, viene messo sotto stretta sorveglianza in attesa di una prova definitiva. Sulla base di un quadro indiziario viene condannato per l’aggressione a Carol De Ronch, ma Bundy riesce a scappare saltando da una finestra proprio mentre l’FBI sta per incolparlo dei delitti in Colorado.

Ted Bundy 3Ted viene ripreso sei giorni più tardi, ma riesce a evadere di nuovo il 30 dicembre 1977 e a raggiungere la Florida. Il 14 gennaio 1978 entra nella sede del gruppo studentesco Chi-Omega, uccidendo due ragazze mentre dormivano, Lisa Levy e Margaret Bowman di 20 e 21 anni, e ne ferisce gravemente altre due, Kathy Kleiner DeShields e Karen Chandler che se la caveranno con qualche frattura al capo e con qualche dente rotto. Il 9 febbraio 1978 i genitori della dodicenne Kimberly Leach di Lake City ne denunciarono la scomparsa: il suo corpo fu trovato, in uno stato pietoso, otto giorni dopo in un parco. Due testimoni erano però riusciti a prendere il numero di targa della macchina guidata dall’uomo, che si rivelò rubata. I ragazzi, successivamente, poterono identificare Ted Bundy dalle foto segnaletiche.

Poco dopo viene fermato alla guida di un’auto rubata e, dopo una colluttazione con un poliziotto, viene arrestato di nuovo. Tra il 1979 e il 1980 in Florida si tenne il processo – seguito con attenzione dai mass-media di tutto il mondo – che finirà con la condanna a morte di Bundy: la corte ritenne l’imputato colpevole di 36 omicidi, ma lui affermò sino al giorno dell’esecuzione di averne compiuti 26. Theodore Bundy usò la sua abile astuzia per rimandare per due volte consecutive la pena capitale.

Alle 7:06 del 24 gennaio 1989 Ted Bundy fu giustiziato sulla sedia elettrica; alle 7:16 ne fu dichiarato il decesso. Il corpo fu cremato e, nonostante l’ultima volontà di Ted fosse che le sue ceneri potessero essere disperse sulleCascade Mountains, i suoi legali non riuscirono a vincere le violente proteste della gente. Ancora oggi non si sa che cosa ne sia stato a seguito del processo.

Ted Bundy 2Modus operandi

La maggior parte delle sue vittime venne adescata nelle vicinanze di college o residenze universitarie, con la “tecnica” del braccio ingessato (chiedendo aiuto alla vittima per trasportare oggetti vari in macchina) resa poi famosa dall’attore che impersonò il maniaco scuoiatore Buffalo Bill nel film Il silenzio degli innocenti (ancora prima dal romanzo L’Uovo d’Oro di Tim Krabbé e dal thriller cult olandese da esso derivato: Spoorloos, di George Sluizer). Una volta salita a bordo dell’auto di Bundy (un Volkswagen Maggiolino) la malcapitata ragazza si accorgeva, troppo tardi, che lo sportello dal lato del passeggero mancava della maniglia. Portata in un luogo isolato, veniva picchiata e uccisa tramite strangolamento o armi da contatto; il cadavere veniva talvolta stuprato, anche dopo che erano passati diversi giorni (e quindi era decomposto). Almeno 4 vittime furono decapitate dopo la morte.

In altri casi avvicinava la vittima spacciandosi per un poliziotto; in un’occasione si intrufolò nella camera di un dormitorio femminile e uccise a bastonate due studentesse e ne assalì una terza. Quasi tutte le vittime erano studentesse universitarie, minute e dai lunghi capelli scuri con la scriminatura centrale. Alcuni (ma la teoria non è universalmente accettata) hanno sostenuto che Bundy cercasse ragazze simili alla sua ex fidanzata, in una sorta di “punizione simbolica” per la donna che l’aveva respinto.

Ted Bundy macchina
La Volkswagen Maggiolino che Ted Bundy usava per intrappolare le sue vittime è ora esposta al National Museum of Crime & Punishment di Washington D.C.

Curiosità

lla fine della lettura della sentenza di condanna, il giudice Edward Cowart si rivolse a Ted Bundy con le seguenti parole: “Prendetevi cura di voi stesso, giovane uomo. Ve lo dico sinceramente, prendetevi cura di voi stesso. È una tragedia per questa corte vedere una tale totale assenza di umanità come quella che ho visto in questo tribunale. Siete un giovane brillante, uomo. Avreste potuto essere un buon avvocato e avrei voluto vedervi in azione davanti a me, ma voi siete venuto nel modo sbagliato. Prendetevi cura di voi stesso. Non ho nessun malanimo contro di voi. Voglio che lo sappiate. Prendetevi cura di voi stesso”.

 

FONTE: https://it.wikipedia.org