Gympie gympie: toccami e te ne pentirai amaramente!

Qual è il dolore più intenso che avete mai provato? Difficile dirlo perchè il dolore dipende da diversi fattori e normalmente le persone tendono a dimenticare le emozioni più remote.
Come dice il medico Felice D’Onofrio, “il dolore è un compagno scomodo”, ma ha una funzione difensiva del corpo ed evita nuovi stimoli su una parte lesa. Il dolore è un’esperienza sensoriale percepita a livello del sistema nervoso centrale come un’emozione tanto più sgradevole quanto più bassa è la soglia di sopportazione dell’individuo: un puntura, un’infiammazione o un trauma vengono percepiti in maniera diversa dalle persone anche le colpissero con la stessa intensità perchè ognuno di noi ha un certa resistenza innata agli stimoli esterni.
Detto questo possiamo però identificare alcuni dolori molto più intensi di altri: un’ustione da acqua bollente, la puntura di una medusa, la rottura di un arto, l’estrazione di un dente, una colica renale, ecc..
Durante una ricerca in rete mi sono imbattuto in alcune descrizioni di piante irritanti e ne ho trovata una che se non provoca il dolore più intenso conosciuto, ci va sicuramente molto vicina.
La regione del Queensland, nel nord-est dell’Australia, ha un clima accogliente e una frequente della pioggia che permette il prosperare di numerose specie endemiche, sia animali che vegetali.
La chiamano “gympie gympie” ed i cartelli sugli alberi nei pressi di questa pianta infestante recitano più o meno così:
>
Questa famiglia vegetale, denominata Dendrocnide (dal nome della tossina che sprigiona), è presente solo nelle foreste pluviali australiane e indonesiane. Non è chiaro perchè sia giunta a questo grado di “crudeltà”, ma questi vegetali si sono trasformati in un concentrato di sofferenza senza eguali.
Ma quanto, esattamente, può far male la puntura di una di queste piante? Dipende da quale pianta si incontra, o meglio quanto si è stati “fortunati” nell’evitare la peggiore. Le specie maggiormente diffuse sono tre:
– La prima è la photinophylla, alta fino a 30 m e riconoscibile per l’attraente effetto della luce sui sottili peli che ricoprono tutte le sue parti esposte all’aria; gli escursionisti che per errore la urtano riportano solo fastidiosi pruriti e sfoghi dolorosi.
– C’è poi la Dendrocnide excelsa, la cui puntura può iniziare a definirsi seria. Secondo i malcapitati che hanno avuto a che fare con questa pianta, l’esperienza del semplice contatto sarebbe “venire bruciati e ricevere dell’acido sulla ferita nello stesso tempo”. Dopo alcuni episodi, di cui uno particolarmente grave, la scienziata si è attrezzata a dovere ed ha scoperto che gli unici guanti abbastanza spessi per maneggiare un campione erano quelli per la saldatura. I piccoli peli delle Dendrocnide, a differenza di quelli dell’ortica comune, una volta che entrano in contatto con la pelle umana si staccano dalla pianta e restano conficcati, alla maniera del pungiglione di una vespa. Con una piccola differenza: sono migliaia e continuano a liberare il proprio veleno anche per mesi, o addirittura anni. Per alcune vittime, la zona colpita non è mai tornata allo stato precedente, restando estremamente sensibile al calore o allo sfregamento per tutto il resto della vita.
– Ma l’esperienza peggiore la prova chi dovesse toccare la Dendrocnide moroides, chiamata dagli aborigeni gympie gympie (che significa semplicemente “albero che punge”). In questo caso non si parla di un albero, ma di un cespuglio di circa 25 cm di altezza, quasi invisibile nella boscaglia dove solitamente è immerso. Secondo il ricercatore Hugh Spencer del National Geographic la pianta è talmente tossica e pericolosa che si consiglia a chi dovesse avvicinarsi d’indossare un respiratore. Basterebbe infatti l’inalazione di un singolo pelo trascinato via dal vento per iniziare a starnutire freneticamente, fino alla fuoriuscita di una variabile quantità di sangue giù dal naso. I peli della pianta sono simili ad un ago ipodermico, ma molto più sottili e con in cima una sferetta delicatissima nella quale alberga il veleno.
Quando anche solo un pelo di questa pianta entra in contatto con un corpo estraneo, la sfera di veleno si rompe e per il malcapitato inizia un vero supplizio. Esistono casi documentati di cani o cavalli che dopo essere entrati in contatto con le foglie di gympie gympie sono impazziti e si sono buttati giù da una rupe o in un fiume con l’intento di suicidarsi.
Il dolore provocato dagli aghi di questa pianta è sufficiente a far perdere la ragione anche agli umani. Ernie Rider, un militare australiano che restò colpito nel 1967 sulle mani, il volto e il petto, sebbene venne subito portato in ospedale, restò sotto sedativi per settimane e anche dopo che venne dimesso rimase preda di terribili bruciori su tutte le parti colpite. Fino a due anni dopo una semplice doccia fredda bastava a far ritornare la tremenda sofferenza.
Ma di certo la storia più terribile resta quella raccontata all’Australian Geographic dal veterano della seconda guerra mondiale Cyril Bromley, colpito anche lui dalla pianta nel 1994. Durante la sua lunga degenza, nel corso della quale fu tentato ogni sorta di rimedio inefficace, egli raccontò di un suo superiore dei tempi della guerra che, avendo usato maldestramente una pianta di gympie gympie come carta igienica, finì per togliersi la vita con un colpo di pistola.
Il composto chimico alla base dell’effetto di queste piante resta largamente ignoto, al di là della presenza della moroidina, una molecola neurotossica con un composto anomalo ed instabile di triptofano ed istidina. Tale sostanza ha la dote di restare venefica anche molti anni dopo la morte e l’essiccazione della pianta, tanto da aver sortito i suoi nefasti effetti anche su persone che sfogliavano, pacatamente, un campionario d’erbe all’interno di una qualche istituzione di ricerca.
Come ho scritto prima, se il dolore provocato dalla gympie gympie non è il più intenso al mondo, sicuramente ci va molto vicino.

FONTE: Misteri dal Mondo – Credere Per Vedere