La fossa della disperazioneLa fossa della disperazione

Ogni volta che introduco il tema degli esperimenti scientifici scrivo qualcosa del tipo “ Se oggi siamo quello che siamo lo dobbiamo anche a quegli esperimenti”. Ciò non toglie che alcuni di quegli esperimenti del passato siano stati del tutto insensati o abominevoli e che vadano condannati e non ripetuti.
Uno degli esperimenti più controversi dello scorso secolo per fortuna non ha riguardato esseri umani, ma ugualmente ha suscitato lo sdegno di gran parte della comunità scientifica perché ha provocato gravi conseguenze in alcuni primati, nostri cugini.
Autore dell’esperimento di cui sto per parlarvi fu il dottor Harry Harlow che nel 1957 diede inizio ad una serie di esperimenti su scimmie rhesus per testare la loro affettività e paragonare i risultati al comportamento umano.
Harlow, docente all’Università del Wisconsin, voleva studiare la relazione che si instaura fra madre e figlio nei primi anni di vita del bambino: credeva che la simbiosi fra figlio e genitrice nascondesse un tipo di bisogno primario molto più forte del semplice ricevere cibo o protezione.
Iniziò l’esperimento prendendo cuccioli di macaco e li separò dalla madre, chiudendoli in piccole celle buie denominate “fosse della disperazione”. La separazione non durava ore, e nemmeno giorni: alcuni cuccioli vissero in totale solitudine per addirittura 24 mesi.
Le scimmiette, ovviamente, non reagirono affatto bene e presto accusarono una serie di effetti collaterali marcati e irreversibili come un profondo stato di depressione, un’aggressività sempre maggiore, turbe mentali e comportamenti illogici. La cosa che stupì lo psicologo fu però che tutte loro avevano sviluppato nel tempo un attaccamento per dei “surrogati” di madre, cercando affetto restando abbracciate per ore ai morbidi tappetini che coprivano il fondo delle gabbie o ai tubi con i quali si immetteva il cibo nelle gabbie. Questo portò Harlow a credere che il bisogno del contatto materno fosse un bisogno primario dei cuccioli ( e quindi dei bambini).
L’esperimento era solo all’inizio: Harlow si convinse di voler scoprire se i neonati sviluppano una simbiosi con la madre per scopo affettivo o solo per istinto di sopravvivenza.
Dal 1957 al 1963 diede luogo ad una serie di esperimenti nella quale divise dalle madri naturali le scimmiette appena nate dotandole di due tipi di madri surrogate:
– La prima, denominata ”madre di pezza”, era un fantoccio soffice di pellame e straccia ed costantemente riscaldato alla temperatura media di un corpo di primate. Non era nient’altro che un pezzo di legno avvolto in gomma, spugna e tessuto riscaldato con una lampadina, ma per le piccole scimmiette era la mamma buona, calda, soffice, paziente, che era sempre disponibile 24 ore e al giorno. Aveva solo un piccolo difetto: non dava il latte.
– La seconda, denominata ”madre di ferro”, era formata da fili d’acciaio ed assolutamente inadatta a dare alcun tipo di calore corporeo, ma possedeva un biberon contenente l’alimento liquido.
Cosa avrebbero scelto le piccole scimmie? Il cibo o il calore di una madre morbida e soffice?
Bene, le scimmiette rimanevano tutto il tempo abbracciando la “madre di pezza” e quando avevano fame correvano dalla “madre di ferro”, si nutrivano per pochi secondi e tornavano subito dalla loro “madre buona e premurosa”.
Harlow aveva dimostrato quanto il bisogno di contatto materno fosse importante per i cuccioli, ma andò oltre ( e qui che la cosa diviene crudeltà): prese altre scimmie appena nate e questa volta diede loro una sola madre surrogata in modo da capire i danni psicologici che avrebbero sviluppato nel tempo.
Le scimmie allevate con la sola madre di pezza e alimentate con biberon nelle gabbie accusarono disturbi comportamentali e antisociali, si nascondevano rannicchiate in un angolo e venivano evitate e escluse dalle altre scimmie; quelle con la madre di ferro invece presentarono gravi squilibri mentali che le portavano anche a tentare il suicidio in presenza di altri esemplari.
Ma Harlow non si fermò qui: si domandò se il movimento avesse un qualche ruolo fondamentale nello sviluppo dell’attaccamento madre-figlio, così costruì delle madri-surrogato appese a una certa distanza da terra, una sorta di sacchi di pezza penzolanti dal soffitto. A sorpresa, i cuccioli le adoravano. Una buona madre, quindi, deve essere calda, soffice e deve muoversi.
Passò quindi a fabbricare delle madri “malvagie”: alcune erano fantocci di pezza dotati di congegni a molla che scattavano quando il cucciolo le abbracciava scaraventandolo letteralmente a metri di distanza, altre lanciavano getti d’aria compressa per spaventarli ed infine costruì anche madri stile ”Vergine di Norimberga” con spuntoni che uscivano dal corpo per trafiggere il malcapitato ad ogni tentativo di ricevere quel po’ di calore materno.
Picchiati, spaventati e feriti i piccoli ritornavano sempre e comunque dalle loro crudeli mamme: il loro bisogno di affetto era talmente profondo che nessuna violenza li avrebbe mai separati da quei tristi fantocci che erano il loro unico punto di riferimento. La conclusione di Harlow fu che dolore, spavento ed umiliazione erano meno forti del bisogno di ricevere calore materno.
La serie di esperimenti di Harlow ebbero fine nel 1963, quando un suo collaboratore rese pubblici i metodi utilizzati dallo psicologo. Le dichiarazioni scatenarono l’indignazione pubblica e offesero la sensibilità comune. Nonostante nell’ultima parte della sua carriera Harlow tentò di riabilitare il proprio nome e curare le scimmie da lui traumatizzate, le critiche piovvero su di lui come un uragano. Per la cronaca nessuna cura riuscì a sanare le ferite fisiche e mentali delle scimmie, che vissero tutte una vita con diversi problemi psicologici.
Sembra strano, ma le sofferenze inflitte da Harlow alle sue scimmie ebbero due esiti positivi: innanzi tutto una conoscenza scientifica più profonda degli istinti che legano una madre al proprio cucciolo; in secondo luogo, paradossalmente, la creazione di movimenti per la protezione degli animali che garantiscono oggi (per quanto possibile) un trattamento più amorevole e dignitoso agli animali da laboratorio.
Chi era Harlow quindi? Un sadico o un genio?

FONTE: Misteri dal Mondo – Credere Per Vedere