L’incidente di Shaitan Mazar

Nel secolo scorso le segnalazioni di avvistamenti UFO si sono moltiplicate a dismisura e oggi non passa giorno che qualcuno presenti in rete video o immagini di presunte astronavi extraterrestri. Se non scrivo mai articoli riguardo avvistamenti recenti (degli ultimi 10 anni) è perché oggi per un po’ di notorietà si creano videoclip e immagini con i programmi ormai a disposizione di tutti; preferisco interessarmi di avvistamenti più indietro nel tempo, più difficilmente verificabili ma senza dubbio meno “maliziosi”. E poi c’è da dire che oggi nei nostri cieli volano molti più oggetti del passato, che possono creare grande confusione o trarre in inganno (droni, veivoli di forme sempre più strane, palloni, lanterne cinesi, ecc.).
Qui mi occuperò di un caso molto importante, ma allo stesso tempo tenuto segreto per molti anni dagli stessi ufologi russi: i russi hanno sempre adottato un approccio molto serio per l’enigma degli UFO e anche le informazioni a riguardo sono state rilasciate solo dopo indagini rigorose e professionali.
Vicino al confine tra la Russia e la Cina c’è lo Shaitan Mazar, una montuosa nella regione del Tien Shan sulle montagne del Kirghizistan; già capire dove si trova non è semplicissimo per noi europei, ma ci basta sapere che il suo nome significa”Tomba del Diavolo”, il che di certo non è un buon presagio.
L’incidente avvenne il 28 agosto 1991 verso le 17: un oggetto enorme, lungo circa 600 m, con un diametro di oltre 100 m, apparve sopra il Mar Caspio. Sui radar della stazione di monitoraggio sulla penisola Mangyshlak i dati misero in allarme l’intera base: l’oggetto si muoveva alla velocità di 6.300 km/h ad un’altitudine di 7.000 m.
Come da prassi la stazione militare inviò immediatamente comunicazione all’oggetto di farsi riconoscere, ma non ricevette alcuna risposta. Scattò l’allarme rosso e l’oggetto venne dichiarato un “intruso”. Furono momenti concitati e nel nervosismo il comandate chiese verifica al cosmodromo di Kapustin Yar se eranoa conoscenza di esperimenti o del decollo di dirigibili, ma ricevettero risposta negativa e nessuno sapeva fornire una giustificazione all’oggetto apparso anche sui loro radar.
La base militare di Mangyshlak dichiarò il codice rosso e venne emesso un avviso militare che allertava l’esercito e richiedeva l’entrata immediata in azione per neutralizzare l’oggetto in avvicinamento. Due MIG 29 vennero deviati da una missione di routine e altri due partirono in direzione della penisola: ai piloti venne dato l’ordine di costringere l’oggetto ad atterrare e se si fosse rifiutato di abbatterlo.
L’oggetto sconosciuto venne incrociato sopra il Lago d’Aral. Quando i MIG ebbero campo visivo comunicarono alla base che davanti a loro c’era un oggetto metallico allungato di colore grigio, simile ad un sigaro, ma di una forma che nessuno di loro aveva mai visto.
Il leader del gruppo di volo richiese l’identificazione e poi ordinò l’atterraggio, ma non ottenne alcuna risposta, nonostante i 4 aerei militari avessero circondato l’enorme veivolo. Dato il timore di un incidente internazionale gli alti ufficiali decisero di non farlo abbattere subito, ma di sparare colpi di avvertimento lungo la sua traiettoria di volo per costringere l’oggetto a seguire i MIG per un atterraggio sicuro.
Gli aerei si disposero in modo la lanciare i missili di avvertimento, ma tutti e 4 i piloti contattarono al base dicendo che i dispositivi a bordo non rispondevano ai loro comandi! Gli impianti elettrici iniziarono a spegnersi e accendersi come impazziti e tutti i comandi in cabina sembravano essere stati bypassati: in pratica non funzionava nulla a parte la cloche.
I radar a terra hanno continuato a monitorare l’oggetto, ma i MIG persero velocità e solo dopo diversi secondi di panico da parte dei piloti i dispositivi tornarono normali. Dalla base fu allora ordinato ai piloti di rientrare, a completare la missione fecero alzare in volo alti 6 MIG.
Incredibilmente, circa 45 minuti dopo l’improvvisa apparizione, l’UFO scomparve dagli schermi radar. Per diverse settimane l’esercito russo si trovò in un certo imbarazzo anche con i media che avanzavano domande a cui nemmeno i militari sapevano rispondere: Cosa era quell’oggetto così grande che aveva sorvolato mezza Russia? Qual era la sua missione? Era la minaccia da un altro paese?
A fine settembre insistenti voci di civili affermavano che un oggetto di grandi dimensioni si era schiantato contro le montagne dello Shaitan Mazar. Gli abitanti dei villaggi intorno a Karakol furono testimoni di un oggetto di dimensioni immense che aveva impattato contro il versante a est, in una gola rocciosa nei pressi del fiume Dzhaz Sary.
Ancor prima che i militari chiudessero il valico e recintassero l’area una spedizione di alpinisti esperti, boscaioli del posto che conoscevano quelle montagne e membri del gruppo ufologico russo SAKKUFON partì alla ricerca dell’oggetto caduto. Il leader di questo gruppo era il ricercatore Anton Bogatov.
Il gruppo era convinto che si fosse schiantata una meteora, ma l’ipotesi che ci fossero uomini in pericolo spinse gli uomini a viaggiare per due settimane attraverso le montagne. Purtroppo le condizioni meteo avverse e le pesanti nevi delle Tien Shans che minacciavano una valanga costrinse la spedizione a tornare al loro campo base a Bishek.
Successivamente il SAKKUFON ricevette un rapporto secondo cui l’Air Force russa aveva trovato il luogo dello schianto nel novembre 1991. Durante il tentativo di issare parte dell’oggetto un elicottero era precipitato, uccidendo tutti a bordo. L’Air Force fallì la prima missione di recupero e sul rapporto c’era scritto che ulteriori tentativi di recupero erano stati pianificati per l’estate successiva, in condizioni sicuramente meno avverse.
Quell’informazione fu il catalizzatore necessario per organizzare una seconda spedizione di ufologi e trovare l’UFO prima che il governo avesse ripulito il sito nascondendo l’incidente alla conoscenza pubblica.
La seconda spedizione fu guidata dal maggiore tedesco in pensione G. Svechkov, coadiuvato da personale esperto e con equipaggio selezionato per fronteggiare i pericoli della montagna e permettere agli uomini di resistere in condizioni avverse per oltre un mese. Svechkov suddivise i membri dell’equipaggio in tre gruppi separati e studiò tre percorsi diversi in modo da aumentare le possibilità di riuscita: se un gruppo fosse stato costretto a tornare indietro per problemi sul percorso, gli altri avrebbero continuato la missione.
A metà giugno due dei tre gruppi raggiunsero il luogo dello schianto: l’immenso oggetto metallico si era fermato su un altopiano ed era rotto in due pezzi.
Alla distanza di 1.000 m dai resti gli strumenti elettronici dei membri del gruppo iniziarono a guastarsi o a impazzire: Svechkov riportò della chiara sensazione di elettricità intorno a loro e man mano che si avvicinavano all’oggetto il campo elettromagnetico dell’UFO diventava così intenso che tutti gli strumenti di misura si ruppero e i loro peli e capelli si rizzarono dritti. Giunti nei pressi dei due tronconi principali divenne chiara la dinamica dell’incidente: l’oggetto si era schiantato contro una rupe a strapiombo ed era esploso all’impatto; nella caduta si era rotto in due pezzi che erano scivolati a valle per poi essere frenati dalla neve che in quella zona era spessa parecchie decine di metri. I ricercatori stabilirono che le due metà erano scivolate per quasi 2 km lungo il pendio della montagna prime di arrestarsi e nel farlo avevano perso migliaia di pezzi molto più piccoli.
Purtroppo i membri della spedizione non riuscirono ad avvicinarsi ad una distanza inferiore a 400 m dall’oggetto perché il campo di energia iniziò a provocare i primi malori e continuare voleva dire andare incontro a morte certa. Vennero fatti molti disegni e bozzetti, corredati da descrizioni e dalle loro osservazioni. Il danno del’esplosione nella sezione centrale permise anche di osservare parte dell’interno dell’oggetto. L maggior parte dei disegni venne fatta da Nikolay Subbotin, che per primo notò lungo la fusoliera dei simboli sconosciuti che non sembravano rappresentare nessuna lingua conosciuta.
Vennero anche scattate molte fotografie, ma la maggior parte risultarono sovrapposte o bruciate per effetto del campo elettrico. Alcuni dei membri dell’equipaggio accusarono ustioni da radiazioni già ad una distanza di 800 m e molti di loro a 500 m si rifiutarono di procedere oltre per attacchi di nausea, vomito e gravi eruzioni cutanee.
A conferma di ciò che c’era scritto sul rapporto giunto al SAKKUFON la spedizione potè chiaramente vedere il relitto di un elicottero MI-8 russo, ma non venne intravisto alcun corpo. Il gruppo restò alcuni giorni per poter testimoniare al meglio il loro ritrovamento con disegni, schizzi, opinioni personali e misurazioni sommarie fatte con strumenti trigonometrici; al loro ritorno al campo base però mostrarono l’amarezza di non aver potuto raggiungere l’oggetto ed entrare a controllare cosa ci fosse al suo interno, così il SAKKUFON volle preparare una terza missione, questa volta con strumenti e tute anti-radiazioni.
Prima che quel progetto si realizzasse si dovette attendere fino al 1998 perché non fu facile raccogliere i fondi e preparare il personale ad una nuova spedizione. Questa volta il gruppo era composto di sole 6 persone, tute però addestrate ad ogni evenienza: Oleg Murashev, Nelli Slugina, Anton Bogatov, Nikolay Subbotin, Alexey Kostenko, ed Emil Bachurin.
Il 19 agosto del 1998 il gruppo affittò un elicottero per portarli abbastanza vicino al sito, ma al loro arrivo l’UFO era scomparso. Era passato troppo tempo e i militari avevano rimosso i rottami dell’oggetto e dell’elicottero militare caduto; il terreno e la neve erano stati spianati da macchine che avevano eliminato qualsiasi segno di schianto e l’intera spedizione dovette rientrare confermando il totale fallimento della missione.
L’esercito russo ancora oggi nega tuta la questione riguardo l’oggetto gigantesco, il suo volo sulla Russia e lo schianto; nonostante la documentazione della seconda missione del SAKKUFON anche gli altri ufologi in giro per il mondo prendono le distanze dalle loro affermazioni e preferiscono toccare argomenti che tirano in ballo le forze armate russe. Cosa è successo veramente nel 1991 tra le montagne del Tien Shan?

FONTE: Misteri dal Mondo – Credere Per Vedere