antonio-la-rubiaL’abduction di Antonio La Rubia

Quando si parla di “incontri ravvicinati” si fa riferimento ad una classificazione di avvistamenti di UFO e interazioni con entità extraterrestri suggerita dall’astrofisico e ricercatore ufologico J. Allen Hynek, che nel 1972 la citò nel suo libro “The UFO Experience: A Scientific Inquiry”. Hynek definì i primi tre tipi di incontro ravvicinato e poi successivamente vennero introdotti altri tipi.
Gli incontri ravvicinati del IV tipo sono i classici rapimenti alieni, ma nella categoria sono incluse anche le esperienze in cui i testimoni provino una sensazione di alterazione del loro senso della realtà, come eventi di natura assurda, allucinatoria o onirica, ovviamente associabili a fenomeni UFO. Questo è il caso di Antonio La Rubia.
La divulgazione del presunto rapimento di La Rubia si deve ad una giornalista brasiliana di nome Irene Granchi, a cui lo stesso addotto si rivolse per spiegare la sua storia. Da noi forse il suo nome dice poco, ma Irene Granchi è stata una delle più importanti figure dell’ufologia brasiliana e ha seguito molti altri episodi di abductions registrati su scala mondiale.
Era il 29 settembre 1977 e Antonio La Rubia viveva a Paciencia, a circa 45 km da Rio De Janeiro. Il suo lavoro iniziava molto presto ed era ormai abituato ad uscire di casa poco dopo le 2 del mattino per attraversare una serie di campi ed andare a prendere il bus che lo avrebbe portato in ditta.
Dati l’orario e la zona non c’era mai troppa tranquillità in quella solita camminata notturna: la zona ancora oggi è poco vigilata e non sono rare le aggressioni verso chi si attarda in ore insolite. Giunto quasi alla piazza del paese si fermò sotto un lampione a controllare l’ora e si accorse che il suo orologio si era fermato e indicava le 2.20. L’ora era confermata dell’orologio del campanile poco lontano, ma incredibilmente pareva che proprio in quel momento il suo orologio da polso aveva smesso di funzionare.
Riprese a camminare quando vide nel campo che costeggiava il sentiero un’enorme sagoma scura immersa nell’oscurità, che lui stesso descrisse come “simile ad un enorme cappello” largo 70 m. La curiosità ebbe la meglio su di lui e così, essendo come al solito in anticipo, decise di avvicinarsi per capire di cosa si trattasse.
Giunto a circa una trentina di metri da quella strana forma riuscì a intravedere che era un veivolo di forma allungata dalla superficie metallica e la forma ovoidale. In preda ad una comprensibile paura Antonio si voltò e cercò di allontanarsi il prima possibile da quel campo e tornare sul sentiero, ma all’improvviso un’intensa luce blu lo e sentì il suo corpo paralizzarli velocemente, come se qualcosa lo stesse congelando.
Impossibilitato a compiere qualsiasi movimento, La Rubia con la coda dell’occhio vide giungere da dietro un palo della luce tre strane creature alte poco meno di lui. Le descrisse come molto simili a manichino robot, con movimenti goffi affannosi; avevano un corpo tarchiato da quale si dipartivano due lunghe proboscidi al posto delle braccia; la loro testa era simile ad un pallone da rugby, con la differenza che su di esse vi era una cresta di materiale riflettente; su tutto il corpo sembrava esserci una pelle ruvida e a scaglie e il corpo terminava in una solo appoggio tubolare.
Le creature si avvicinarono e improvvisamente il corpo di Antonio iniziò a fluttuare e si diresse all’entrata del veivolo. All’interno le pareti sembravano rivestite di un materiale simile all’alluminio e il suo corpo passò in un corridoio dove c’erano almeno due dozzine di quelle creature in fila a fissarlo.
L’uomo riuscì a voltare lo sguardo al suolo e vide un pavimento trasparente, dal quale si riusciva a vedere il suolo alcuni metri più in basso. Giunto in una grande stanza circolare il suo corpo si fermò e attorno a lui si accesero luci blu simili a quella che lo aveva investito nel campo: attorno a lui contro le pareti c’erano oltre 50 di quelle creature. Il suo corpo venne adagiato a terra, ma l’uomo ebbe la sensazione di essere stato rinchiuso in un campo di forza invisibile.
Gli esseri attorno a lui, pur non proferendo versi o parole, iniziarono a comunicare l’un l’altro muovendo le teste. Antonio, che fino a quel momento non era riuscito a muovere un muscolo, sentì tornare la voce ed emise un urlo di paura: a quel punto con suo stupore tutte le creature caddero a terra, come se l’onda sonora emessa dal loro prigioniero li avesse abbattuti.
La luce blu divenne più intensa e a quel punto nuovamente il corpo di La Rubia si paralizzò.
La sala era spoglia, a parte uno schermo e una scatola di circa 15 cm per lato posta tra lui e lo schermo. Il congegno era sopra due lunghi sostegni e sopra di esso c’era un piccolo tubo simile ad una lattina con dei fori nel quale quegli esseri inserivano degli oggetti simili a delle siringhe che portavano lungo i fianchi. Ogni volta che uno di loro inseriva una siringa nel congegno, sullo schermo compariva un’immagine a colori.
Antonio ne ricordò parecchie tra cui:
– lui stesso nudo, sdraiato su u tavolo invisibile e tre creature che lo stanno esaminando; sopra di lui c’erano due lampade blu puntate sul petto;.
– lui, vestito, con la valigetta in mano e l’aspetto nervoso, mentre batte i denti in mezzo al prato;
– un cavallo attaccato ad un carro lungo una strada polverosa; il conducente indossava un cappello di paglia, aveva i piedi nudi e la camicia strappata;
– un cane in procinto di balzare e afferrare uno degli esseri che stavano davanti a lui;
– quella che sembrava una vecchia fabbrica dove c’erano appesi pezzi metallici che al centro venivano assemblati in una navicella discoidale con attorno decine di quelle creature;
– una grande strada affollata di persone bloccate in un intenso traffico, che ad Antonio La Rubia ricordò la Avenida Presidente Vargas, una delle principali vie di Rio.
Terminata la sequenza di immagini uno degli esseri si avvicinò ad Antonio e lo punse alla mano destra per prelevargli del sangue con quelle strane siringhe: fu l’unica volta che all’interno di quel luogo l’uomo vide un colore diverso dal bianco, dall’argentato e dal blu. Quell’essere poi si avvicinò ad un pannello della parete e tracciò uno strano simbolo con il suo sangue: tre cerchi tagliati da una “L”.
Da quel momento i ricordi di La Rubia si persero e ricordò solo di essersi ritrovato seduto a terra ai margini di una strada poco lontano, nei pressi delle stazione di Paciencia. Era vestito come quando era entrato nel campo e tra le mani aveva la sua valigetta da lavoro. Osservò il suo orologio e vide che erano ancora le 2.20, ma ora si era sbloccato e le lancette si muovevano scandendo i secondi come di consueto.
Dopo attimi di smarrimento e confusione, Antonio si alzò da terra e prese l’autobus alle 3.10 per andare a lavoro.
Per tutto il turno avvertì dolori ovunque sul suo corpo e un innaturale nervosismo, ma volle convincersi di aver avuto una sorta di allucinazione. A casa non disse nulla alla moglie, ma la sera successiva iniziò il suo calvario: gli salì la febbre fino oltre 40 gradi, iniziò ad avere conati di vomito e problemi di incontinenza; nella notte i dolori divennero più intensi e gli venne un mal di testa che durò diversi giorni. Il giorno dopo iniziò a sentire la pelle bruciare e nonostante la moglie tentò di abbassare la temperatura con stracci bagnati non riuscì ad alleviare i suoi problemi.
La Rubia arrivò addirittura a chiamare l’azienda dove lavorava per licenziarsi, convinto di essere diventato incapace di alzarsi dal letto. Sopraggiunsero nei giorni seguenti problemi respiratori e la pelle iniziò ad assumere un colore verdastro, tanto che la moglie lo convinse a farsi ricoverare.
In ospedale Antonio cominciò a parlare in stato confusionale di UFO e alieni; nonostante i medici che sulle prime ipotizzarono avesse un esaurimento nervoso, riscontrarono che la sua temperatura corporea segnava 42 °C e che in lui era in atto un’incomprensibile eruzione cutanea. Ordinatogli di togliersi i vestiti, riscontrò che il suo corpo era letteralmente coperto da eruzioni cutanee. La Rubia aveva un’incredibile sete che non riusciva a soddisfare perchè sentiva la gola ardergli di continuo e tutti i liquidi che assumeva li vomitava pochi minuti dopo.
Ci vollero oltre due settimane per alleviare i sintomi di bruciore e dolore che provava il paziente e gli venne riscontrato un avvelenamento dovuto a sostanze tossiche su tutto il corpo. Oltre un mese dopo quell’incidente, Antonio La Rubia presentava ancora problemi nel camminare, tanto che lui stesso disse di avere la sensazione di camminare su una nuvola e di non riuscire a trovare un equilibrio nei suoi passi.
Quello di Antonio La Rubia è stato un caso di incontro ravvicinato del IV tipo passato quasi inosservato se non fosse per l’articolo scritto da Irene Granchi; i medici e gli psicologi che lo esaminarono conclusero che l’uomo avesse avuto un’allucinazione molto realistica e sorvolarono su tutti gli effetti collaterali che accusò il suo corpo nei giorni a seguire, affermando si trattasse di un’insolita allergia; c’è però chi pensa che gli ufologi oggi sono così occupati a guardare attraverso i loro telescopi che non si rendono conto che gli “incontri” avvengono sulla Terra e non in cielo.
Forse la ricerca degli alieni andrebbe vista non come un problema di distanza da chissà quale pianeta dell’universo, ma da un lato dimensionale e temporale diverso dal nostro: e se vivessimo tutti, umani e alieni, sulla Terra senza saperlo?

FONTE: Misteri dal Mondo – Credere Per Vedere